martedì 23 marzo 2010

COME MEDITARE

CONSIGLIATO:

Meditare

di GUENDUNE RINPOCHE'

Meditare non vuol dire tentare di vedere colori o forme o cercare di modellare questa o quell'esperienza. Meditazione è sgombrare, liberare la mente da tutte le forme di appiglio, di attaccamento, di intenzionalità, di caratterizzazione delle cose. Non si tratta tanto di fare qualcosa, quanto di disfare i vincoli e i legami della mente. Abbandonando l'attaccamento alle cose, basato sulla convinzione che queste abbiano una realtà oggettiva, si mollerà la presa della mente nei confronti di queste cose e dell'intenzione che vi è connessa, in modo che l'apparenza si troverà ad essere libera da sola.
Spesso si crede che meditare significhi imporre uno stato di vuoto alla mente, uno stato senza pensiero nè movimento mentale: quest'idea è sbagliata, perché se la meditazione fosse uno stato senza pensiero, questo stesso tavolo starebbe meditando! La meditazione non ha niente a che fare con il fatto di creare un vuoto volontario nella mente: meditare non vuol dire bloccare il movimento dei pensieri, ma restare in uno stato in cui questi pensieri non fanno presa. Se non ci fossero pensieri o movimento concettuale nella mente, chi mediterebbe?
Meditare è semplicemente riconoscere ciò che ci lega alle apparenze, alle manifestazioni esteriori, e mollare la presa delle fissazioni mentali. Significa creare una distensione rispetto al condizionamento abituale, e lasciare che questa distensione faccia effetto: gli oggetti su cui la mente si fissa cadono da soli, i nodi si disfano da soli.
Meditare vuol dire disfarsi della corazza che ci siamo forgiati, dei vestiti superflui che indossiamo; allora, abbandoniamo a uno a uno gli abiti mentali, per restare nella nudità primordiale. In questa distensione si sperimenta lo stato naturale della mente come luce, come coscienza conoscente, come viva lucidità. Questa chiarezza della mente è definita come coscienza istantanea, immediata, uno stato esente da elaborazioni mentali o reificazione.
Semplicemente restiamo nel godimento di questo stato, lasciando la mente nella dimensione che le è propria, senza caratterizzare o giudicare nulla, senza neppure concepire la nozione di meditazione. Quando la mente riesce a mantenersi stabile in quello stato, sperimenta il proprio spazio, e tutti i fenomeni esteriori ed interiori vengono percepiti come vuoti. Questo stato non è limitato da nulla, è libero da ogni orientamento, privo di sostegno e in esso c'è la conoscenza fondamentale libera da punti di riferimento. E anche uno stato di felicità e di benessere libero da ogni impedimento concettuale. L'apparizione di queste qualità della mente è segno di successo della pacificazione mentale; lo sviluppo di questa meditazione, quando si rimane assorti in tale stato senza perderlo o alterarlo, è il conseguimento del samadhi.
È importante non giudicare la propria meditazione, non pensare che il tale stato sia «buono» e che quell'altro sia «cattivo»; che quando la mente è calma la nostra sia una «buona meditazione», mentre quando la mente è agitata la nostra sia una «cattiva meditazione». Quando, nel corso della meditazione, vengono idee del genere, si può dirigere la propria attenzione verso chi sta giudicando in questo modo, verso la coscienza che sta valutando la meditazione; con l'introspezione, questa coscienza scopre di essere priva di forma o di colore; l'osservatore è privo di qualsiasi specificità che potrebbe provare la sua esistenza. Come avevamo fatto per l'oggetto percepito, ritroviamo la dimensione vuota della mente percipiente, l'assenza di realtà del soggetto.
Dunque, quali che siano i fenomeni che sorgono nella mente si trattano cosi': non si tenta di prevenire il loro insorgere nè di farli cessare una volta che sono presenti; non vanno seguiti, ma apprezzati per quel che sono. Ogni volta che si riconosce l'essenza attraverso lo sguardo diretto, ritroviamo la dimensione della mente non ostruita, libera da ogni ostacolo.
Meditare cercando qualcosa di più all'esterno porta all'insoddisfazione. Ciò che si deve fare è esattamente il processo inverso: liberarci da ciò che ingombra la mente volgendoci all'interno, fino allo stato spontaneo in cui non sussiste nè ricerca nè sofferenza: la pienezza onnipresente.
La dimensione naturale della nostra mente è il Dharmakaya, che è spontaneo per natura. L'unico modo di incontrare la mente è armonizzarla con questa natura priva di cause e solo uno stato di distensione e di apertura può consentire a quest'essenza spontanea di sorgere da sé.

CONSIGLIO VIVAMENTE LA LETTURA DI: MEDITAZIONE SUL RESPIRO

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