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lunedì 7 febbraio 2011

STORIA SUFI

Vi è un banchetto in onore del re. Tanti invitati sono riuniti, ognuno seduto secondo il suo rango. Vi è un solo posto libero per l'arrivo del re. Un discepolo sufi, vestito di stracci, entra e si siede sulla sedia destinata al re. Il primo ministro è indignato, e avvicinandosi al sufi gli chiede:

Come osi sederti sulla sedia riservata al re? Sei un importante ministro?

Sufi: No, non sono un importante ministro, ma molto di più.

Primo ministro: Sei il re?

Sufi: No, non sono il re. Sono molto più importante.

Primo ministro: Sei il Profeta?

Sufi: No, non sono il profeta. Sono molto più importante.

Primo ministro: Sei Dio?

Sufi: No, no sono Dio. Sono molto più importante.

Primo ministro (indignato): Come puoi dire questo? Non vi è nulla di più di Dio.

Sufi: Sono quel "Nulla".



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consigliato:

domenica 9 gennaio 2011

STORIA ZEN: L'ELEFANTE



Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto. Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo nè la forma nè i contorni dell'elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi di conoscere la verità.
Posero domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo. Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "È possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell'elefante. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: tutti avevano solo potuto immaginare.

Fonte: tratto da http://blog.libero.it/zenstories/


consiglio di lettura:
La Tazza e il Bastone - Storie Zen - Libro
Narrate dal maestro Taisen Deshimaru

mercoledì 7 luglio 2010

COME FATE A DIRE CHE SIA UNA SFORTUNA? Osho

OSHO LIBRI:
In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, una forza, una maestosità… i re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?”. L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito?”. Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa… se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai unito alla totalità. Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo su dei particolari. Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere. Di fatto, il viaggio non finisce mai. Un sentiero finisce, e ne inizia un altro. Una porta si chiude, e un’altra se ne apre…
tratto da:Osho, Until You Die # 2
Fonte: tratto dall'ottimo sito
http://www.fiumesilente.com/forums/nuova-energia/non-si-pu%C3%B2-mai-direosho-meraviglioso-racconto-sul-non-giudicare

 

mercoledì 16 giugno 2010

Il miracolo del ponte di terra... racconti Sufi



Lungo la riva di un fiume viveva in modo semplice un sufi con i suoi allievi.
Un giorno gli fece visita un sufi di città che con i propri allievi stava compiendo un viaggio.
Era un maestro d'una certa fama e ci teneva a mostrare al più modesto «fratello sulla via» le sue grandi capacità, cosicché ad un certo momento disse: «Vedi questo fiume? Io sono capace di compiere un grande miracolo: posso usare il mio grande potere per unire le due rive con un ponte di terra, e su quel ponte potremo passare tutti senza dover nuotare».
Detto fatto: tracciò grandi gesti nell'aria, pronunciò formule magiche, ed ecco che un ponte di terra, sorgendo da una riva, a poco a poco s'allungò sino a toccare l'altra, e tutti vi passarono sopra e giunsero sull'altra sponda del fiume.
Dopo di che, il grande maestro di città, con altri gesti e parole, dissolse il ponte e poi, voltosi tutto trionfante al sufi di campagna, gli disse: «Ebbene, hai visto?».
 «Sì, - rispose l'altro - ma quello che non capisco è il perché di tutto questo grande miracolo quando il traghettatore ci avrebbe ugualmente portati qui per solo due monete di bronzo».

Fonte: tratto dall'ottimo sito:
http://xoomer.virgilio.it/endonauta/endonauti1.htm

venerdì 12 marzo 2010

RACCONTO SUFI 'BAYAZID E L'EGOISTA'

Bayazid e l'egoista

Un giorno un uomo andò da Bayazid, il grande mistico del IX secolo, per rimproverarlo. Gli disse di aver digiunato, pregato e fatto tante altre cose ancora per trent'anni, senza trovare la gioia di cui Bayazid parlava. Bayazid gli rispose che, anche se avesse continuato così per altri trecento anni, non l'avrebbe trovata in ogni caso.
"Com'è possibile?", chiese il candidato all'illuminazione.
"Perché la tua vanità ti ostacola", rispose Bayazid.
"Indicami un rimedio", chiese l'uomo.
"Un rimedio ci sarebbe, ma non puoi prenderlo".
"Dimmelo egualmente".
Allora Bayazid disse: "Va' dal barbiere e fatti radere la tua venerabile barba. Togliti tutti i vestiti e cingiti i fianchi con una corda. Riempi un sacchetto di noci, appendilo al collo e mettiti sulla piazza del mercato gridando: "Una noce a ogni monello che mi darà un colpo alla nuca". Infine, presentati a corte affinché i giudici possano vederti".
"Ma non posso fare tutto ciò! Ti prego, dammi qualche altra cosa che possa avere lo stesso effetto".
"Questo è il primo e unico passo", disse Bayazid.
"Ti avevo già detto che non l'avresti fatto. Pertanto, non puoi essere curato".
* * *
Nella sua Alchimia della felicità, El-Ghazzali vuole sottolineare, con questa parabola, il concetto che ha sempre sostenuto e cioè: per quanto si possa essere sinceri, sia ai propri occhi che a quelli altrui, nella ricerca della verità, in realtà si può essere motivati dalla vanità o dall'egoismo, caratteristiche che sono di totale ostacolo all'apprendimento.