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giovedì 10 febbraio 2011

AFORISMI ERACLITO

CONSIGLIATO:
Diceva Eraclito: "Tutto scorre in quanto risultato della tensione continua degli opposti che si fanno guerra"..

Tutto scorre, non ci si può immergere due volte nello stesso fiume...

 Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi".

"Nella veglia come nel sonno
gli uomini sono dimentichi e ignari
di quanto accade intorno a loro.

Gli sciocchi, anche se sentono,
sono come sordi;
a loro si addice la massima:
anche se sono presenti sono assenti.

Non si dovrebbe agire o parlare
come se si fosse addormentati.

Coloro che sono svegli hanno un mondo in comune;
chi è addormentato vive in un mondo separato."


Eraclito


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venerdì 4 febbraio 2011

STEVE HAGEN: FISICA QUANTISTICA E TEMPO. QUI E ORA!

Autore: Steve Hagen, ex ricercatore scientifico, è diventato uno studente Zen nel 1975. Mentre continuava la sua esplorazione nei diversi campi della scienza, ha studiato con insegnanti di Dharma in Asia, Europa e negli Stati Uniti. Oggi tiene conferenze, insegna meditazione ed è fondatore del "Dharma Field Meditation and Learning Center" in Minnesota. È inoltre autore dei libri "Buddhism plain and simple" e "How the world can be the way it is".

Io, la grande Terra, e tutti gli esseri, simultaneamente raggiungiamo la Via. - Buddha
Il tempo è una illusione, sebbene una illusione persistente. - Albert Einstein

Come è stato possibile che l'Illuminazione del Buddha sia avvenuta simultaneamente con tutti gli esseri? Questo evento non si è verificato molto tempo fà? Se si è già verificato, dove è ora? E l'espressione tutti gli esseri non include forse noi stessi?
Nella letteratura buddhista, ci sono molti riferimenti a una sorta di atemporalità nelle cose, nelle relazioni e negli eventi. Il filosofo buddhista Nagarjuna, vissuto nel secondo secolo d.C., in un classico esempio, ci mostra come non possiamo avere un concetto coerente del tempo come entità. Come dimostra nell'opera Basi della Via di Mezzo???, il tempo può essere sperimentato solo come un insieme di relazioni interdipendenti. Il grande maestro Zen giapponese Dogen Zenji porta alla nostra attenzione la stessa percezione nel suo saggio Essere tempo (Being time). Seng-ts'an, il terzo Patriarca del Buddhismo Zen in Cina, termina il suo Aver fiducia nella Mente (Trusting Hearthmind) dicendoci che "le parole falliscono, poiché la Via non è né ieri, né oggi e né domani". E nel classico L'unione di differenza e unità ("Merging of Difference and Unity"), il maestro Zen Shih-t'ou inizia dicendo che "la mente è intimamente connessa tra est e ovest". Un evento del genere deve avvenire necessariamente al di fuori del tempo.

Ciò nonostante, noi guardiamo comunemente al mondo, e all'esperienza che ne facciamo, in modo lineare - come se le cose fossero poste in fila, dal passato, attraverso presente, verso il futuro. Qualcosa che succede ora crea un effetto in un momento successivo. Questo, pensiamo, è come le cose sono e debbono essere.

Quale tra questi punti di vista è più in accordo con ciò che la scienza ci offre oggi. E quale riflette più accuratamente come il mondo è realmente?

Alcuni fisici hanno recentemente mostrato un rinnovato interesse per un particolare modo di concettualizzare il tempo e lo spazio, schema che è stato introdotto sin dagli anni quaranta. Un modello di questa teoria riduce a due le tre dimensioni dello spazio, mentre il tempo viene proiettato nella terza dimensione.

Secondo questo schema, tutto ciò che noi chiamiamo ora - cioè, la puntuale disposizione delle cose e degli eventi - è considerato come disposto in un singolo piano. Ovviamente, questo piano - essendo il momento presente - non sta fermo. Piuttosto, sale verso l'alto nella terza dimensione, come un ascensore - tranne il fatto che in questo caso si sale attraverso il tempo anziché lo spazio. All'interno di questo modello, il passato è tutto ciò che rimane sotto l'ascensore in un dato istante; il futuro - ciò che deve ancora accadere - è ciò che si incontra quando l'ascensore sale a raggiungerlo.

Assumendo questo modello, possiamo immaginare l'insieme di spazio-tempo come un unico blocco tridimensionale, e ciascuna entità come un punto, o una serie di punti all'interno di esso. La vita può essere rappresentata come la linea tracciata attraverso questo blocco mentre si sale con l'ascensore attraverso il tempo.

Alcuni fisici vedono questo modello applicabile anche alla coscienza. Secondo il fisico-matematico, Herman Weyl, "il mondo oggettivo semplicemente è, non accade. Solo allo sguardo della mia coscienza, quando sale lentamente lungo la linea della vita tracciata dal mio corpo, il mondo appare come una immagine fugace che cambia continuamente nel tempo".

Ma perché dovremmo pensare al tempo come puro movimento? Ovviamente nello sviluppo del modello appena esposto, e, in genere, nell'analisi dei fenomeni temporali, i fisici hanno continuato a mantenere l'assunto, comunemente condiviso, che il tempo è ancora un movimento dal passato, attraverso il presente, verso il futuro. Ma mantenere questa ottica presenta alcuni problemi. Per esempio, i fisici hanno scoperto che alcuni fenomeni quantici sembrano andare ritroso nel tempo.

Nello specifico, la scienza ha dovuto tener conto di una particella chiamata positrone. Non si tratta di una entità teorica o ipotetica, ma di una vera particella che si manifesta in molti esperimenti quantici. Un positrone può essere considerato o come un elettrone avente carica positiva (anche se gli elettroni hanno carica negativa) oppure come un elettrone che corre indietro nel tempo. Come vedremo tra poco, quest'ultima spiegazione risolve molti rompicapo che hanno disorientato i fisici per molto tempo.

La soluzione più semplice, ovviamente, sarebbe dimenticarsi di ogni apparente non-senso riguardo entità che vanno indietro nel tempo, perché da un punto di vista matematico tali entità possono essere viste semplicemente come se corressero "in avanti". Molti fisici hanno cercato di fare proprio questo. Difatti quando hanno iniziato a concepire i positroni come elettroni in viaggio dal futuro, attraverso il presente, verso il passato, immediatamente la loro visione complessiva dell'universo si è molto semplificata. Per i fisici tale semplicità fornisce un forte incentivo a prendere le cose sul serio. Inoltre, guardando le cose con questo approccio retrospettivo, hanno recentemente scoperto che sono in grado di chiarire molti fenomeni quantici non altrimenti spiegabili - fenomeni che li hanno lasciati sconcertati per decenni.

Ma accettare uno schema del genere ci porta a molti altri aspetti sconcertanti. Per esempio, significa che l'universo, in modo concreto, non ha né dimensione né durata. Significa che abbiamo l'Intera Realtà - tutto il tempo e tutto lo spazio - simultaneamente.

In altre parole non c'è nulla che sale e scende le linee tracciate dall'ascensore temporale - non i nostri corpi, non la coscienza, né i positroni. In effetti, non esiste nessuna siffatta linea del tempo. È una illusione, ed è il perno della nostra confusione riguardo il tempo.

Semplificando molto, i fisici stanno ipotizzando qualcosa del genere: quando un elettrone vibra nella nostra cucina, ad esempio, esso emette un segnale che viaggia alla velocità della luce attraverso la dimensione spazio-temporale. Quando un altro elettrone riceve quel segnale vibra in accordo e manda un segnale di ritorno verso l'elettrone nella nostra cucina. Ciascun elettrone ottiene questo tipo di messaggi da tutte le altre particelle presenti in ogni dove - letteralmente da qualsiasi cosa raggiungibile attraverso lo spazio e il tempo. Come risultato di questo processo ogni elettrone conosce la sua esatta posizione e rilevanza nell'universo.

Proviamo ad approfondire il discorso. Poniamo il caso di eccitare un elettrone di questa pagina (chiamiamolo mittente). Esso spedisce un segnale (i.e. emette un fotone che viaggia sotto forma di onda) alla velocità della luce nell'universo, messaggio che può andare non oltre la lunghezza di questa pagina, oppure, raggiungere la galassia di Andromeda lontana due milioni di anni luce. Ma non importa dove o quanto lontano vada, poiché primo o poi il fotone sarà assorbito da qualche elettrone (che chiameremo destinatario). Questo elettrone vibra in risposta e manda un segnale di ritorno all'elettrone mittente posto in questa pagina.

Secondo il senso comune, se il segnale và ad Andromeda, lontana due milioni di anni luce, sembrerebbero necessari quattro milioni di anni luce prima che il segnale ritorni indietro.

Ma sembra (e molti esperimenti lo confermano), che il segnale di ritorno del destinatario sia ricevuto dal mittente nello stesso momento in cui questo spedisce per primo il segnale. Lungi dall'impiegare quattro milioni di anni, l'intera transazione avviene simultaneamente. Non in un microsecondo, ma nello stesso esatto momento.

In altre parole, l'intera transazione accade ora, al di fuori del tempo. Ora invece del tempo.

Alcuni fisici spiegano questo fenomeno pensando che quando il destinatario riceve un segnale, esso manda il suo messaggio di ritorno indietro nel tempo. E poiché il segnale impiega la stessa quantità di tempo ad andare in un verso e tornare indietro, l'affare si conclude nello stesso istante in qui inizia. Gli scienziati hanno dati sperimentali che supportano tale ipotesi, che essi chiamano l'interpretazione transazionale della meccanica quantistica.

Inoltre, se osserviamo la transazione dal punto di vista del segnale stesso, nessun tempo scorre durante il viaggio di "quattro milioni di anni". Einstein ci ha mostrato che se potessimo portare noi stessi a raggiungere la velocità della luce (a differenza dei fotoni, noi abbiamo una massa, quindi non siamo veramente in grado di farlo, ma facciamo un salto ipotetico per un momento), il tempo rallenterebbe man mano che la nostra velocità aumenta (sebbene, questo non verrebbe da noi percepito) - finché, alla fine, alla velocità della luce, il tempo fermerebbe il suo scorrere del tutto. Agli occhi di qualcuno che viaggia alla velocità della luce, tutto lo spazio attraversato - ogni centimetro o anno luce - sembrerebbe passare in un solo istante, non importa quanto sia lungo il viaggio. Così, dal punto di osservazione di un fotone in viaggio verso Andromeda, il viaggio non ha durata alcuna. In altre parole, per il fotone, Andromeda è proprio qui, in quanto non occorre alcun tempo per andare lì. E il fatto che il messaggio sia qui e lì contemporaneamente, rende il lì indistinguibile dal qui.

Questa affermazione vale per ogni coppia di luoghi nell'universo che possiamo prendere in considerazione.

In altre parole, l'universo non sembra avere intrinsecamente alcuna dimensione o alcun limite di tempo.

Per la nostra mente ordinaria, l'universo appare immenso più di quanto la nostra immaginazione possa comprendere, è antico aldilà di ogni calcolo. Ma per un essere illuminato, non ha senso tentare di qualificare (o quantificare) una Realtà oggettiva in quest'ottica.

Come afferma Huang Po, un grande maestro zen cinese, "È senza inizio, non nata, e indistruttibile. Non può essere compresa in termini di nuovo e vecchio. Non è né corta né lunga, né grande né piccola, in quanto trascende ogni limite, misura, nome, segno o confronto".

L'universo - visto dagli occhi di un risvegliato - non ha una dimensione o datazione inerente. Tutto è compreso nel qui e ora.

Tuttavia, all'interno di questo qui e ora, che non ha estensione o durata, noi sembriamo avere una dimensione e un tempo. In che modo, quindi, il tempo e lo spazio possono effettivamente manifestarsi?

Essi appaiono in quanto risultante della coscienza.

È solo nella nostra costruzione mentale dell'universo - la nostra visione concettuale di esso - che noi ci troviamo di fronte a qualcosa di così vasto e durevole. Tuttavia, nella nostra reale esperienza - i.e. ciò che realmente percepiamo, anziché ciò che concepiamo - quello che abbiamo sempre avuto è solo il qui e ora.

La nostra esperienza è sempre nel presente. Non possiamo letteralmente esistere nel passato e nel futuro - esistiamo solo nell'infinitesimo momento aldilà del tempo, che noi chiamiamo ora. In realtà possiamo solo ricordare il passato e immaginarci il futuro, ma entrambe queste attività necessariamente avvengono ora. E dove potrebbero mai verificarsi se non qui? Qui siamo in grado di concepire un lì, ma in realtà non siamo in grado di andare lì. Ovunque noi pensiamo di andare, in realtà non possiamo mai abbandonare il qui.

Ciò che sperimentiamo come estensione e durata - tempo e spazio - è il risultato del modo in cui la nostra mente opera. La coscienza li produce. In effetti, questo è ciò che la coscienza in realtà è. La coscienza è la divisione di ciò che altrimenti sarebbe sperimentato come il Tutto trascendente lo spazio e il tempo, in tempo e spazio - cioè nella distinzione tra il qui e il lì, tra il prima e l'ora.

Sono le diverse costruzioni mentali che manteniamo, e a cui teniamo, che appaiono come tempo e spazio, estensione e durata. Queste - e tutto il mondo materiale - deriva dalla coscienza, che scodella i concetti di tempo e di spazio dall'oceano che è aldilà del tempo e dello spazio.

Per la mente risvegliata, tuttavia, ciò che è Reale è il Tutto che comprende ogni cosa, aldilà dei limiti di estensione e di tempo. L'essere illuminato vede che questo Tutto non ha alcuna dimensione separata dalla Mente.

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Il Potere di Adesso , Eckhart Tolle Ti consiglio di leggerlo...

mercoledì 15 dicembre 2010

FILOSOFIA ZEN


Non uscendo dalla porta si conosce il mondo. Non guardando dalla finestra si scorge la via del cielo. (Lao Tzu)

Nel corso della storia si è constatato che la mente dell'uomo è capace di due tipi di conoscenza; la prima modalità è quella razionale, tenuta in grande considerazione dall'occidente; la seconda è quell'intuitiva che, in genere, è esattamente l'opposto, ed è confacente all'atteggiamento
orientale. La conoscenza razionale appartiene al campo della scienza e
dell'intelletto, la cui funzione è quella di analizzare, discriminare, dividere, confrontare, misurare e ordinare in categorie.

La conoscenza razionale è un sistema di concetti astratti e di simboli; in
questo modo si considera l'ambiente naturale come se fosse costituito da parti separate, e si costruisce una mappa intellettuale della realtà, nella quale le cose sono ridotte ai loro contorni.

Il pensiero orientale, e più generalmente il pensiero mistico, forniscono
alle teorie della scienza contemporanea un importante e coerente riferimento filosofico: una concezione del mondo, nella quale i due temi fondamentali sono l'unità e l'interdipendenza di tutti i fenomeni, e considera l'uomo come parte integrante di questo sistema. Ciò che interessa ai mistici orientali è la ricerca di una esperienza diretta della realtà, che trascenda non solo il pensiero intellettuale, ma anche la percezione sensoriale. La conoscenza che deriva da un'esperienza di questo tipo viene chiamata dai buddisti "conoscenza assoluta", perché non si basa su discriminazioni, astrazioni, e classificazioni dell'intelletto, le quali sono sempre relative e approssimate. Essa è come dicono i Buddisti, l'esperienza diretta dell'essenza assoluta, indifferenziata, indivisa, indeterminata.

La conoscenza assoluta è, quindi, un'esperienza della realtà totalmente non intellettuale, un'esperienza che nasce da uno stato di coscienza non ordinario, che può essere chiamato uno stato meditativo, o mistico. E' la realtà della vita del Sé, che vive solo così com'è, la nuda esperienza della vita (quel soltanto essere vivo ora). Il Sé non è superficiale: è la pienezza della gioia.

Essere consapevoli del Sé significa essere gioiosi.

"Cosa fa un Buddha sotto l'albero del Bodhi? Non fa nulla. Si limita ad
essere". Egli è colmo di un'insondabile gioia, perché ora non rimane nulla da raggiungere. Nel proprio essere si scopre che qualsiasi cosa degna di essere raggiunta esiste già. Il semplice accadere della vita, l'espirare e l'inspirare, il semplice pulsare della vita, è beatitudine. Non ha nulla a cui pensare, non pensa alla famiglia, né pensa al futuro, è semplicemente immerso nella beatitudine -  il giusto modo di essere - non vi è passato, né futuro.

Non sta andando da nessuna parte, il cuore batte, il respiro entra ed esce, il sangue circola semplicemente esiste, tutto è vivo e pulsante. Un'energia priva di scopo, che fluisce senza meta, che fluisce ovunque; ma che non va da nessuna parte. Fluisce verso il nulla. L'estasi non è una meta. E', qui e ora, proprio nel movimento; è felice di per sé, proprio nella pulsazione
dell'essere vivo.

Lo zen-  che ebbe origine in seno al Buddhismo, ma fu fortemente influenzato dal Taoismo - si vanta di essere senza parole, senza spiegazioni, senza istruzioni, senza conoscenza. Esso si concentra quasi interamente sull'esperienza di illuminazione (satori), ed essa non consiste nel fare qualcosa, o nell'ottenere qualcosa; ma, semplicemente, nel riconoscere quello che è sempre esistito di fatto, e si interessa solo marginalmente di interpretare questa esperienza.

A causa dell'educazione e del condizionamento ambientale, il funzionamento delle nostre menti è legato a un sistema particolare di logica, formato da concetti, e ogni cosa viene considerata attraverso un sistema di opposti: buono cattivo, bianco o nero, giusto o errato. A causa di questo modo di giudicare non possiamo raggiungere le unità attraverso la molteplicità. Lo scopo dello Zen è quello di andare al di là dei legami della dualità, rinunciare a tutti i concetti creati dall'intelletto e vedere le cose come realmente sono, per mezzo della introspezione intuitiva. Poiché il flusso della mente non può essere fermato mediante uno sforzo egocentrico di volontà, quello che si richiede, momento per momento, è la osservazione continua delle dualità, della tendenza continua del nostro io, delle tendenze che costituiscono i nostri pensieri, i nostri sentimenti, il nostro corpo.

In tutto il misticismo orientale, l'intelletto è visto soltanto come un
mezzo per aprire la strada all'esperienza mistica diretta, che i Buddhisti
chiamano "risveglio". Lo zen insegna che il risveglio (satori) attraverso la meditazione è al termine della attesa-attenzione, che deve essere una vigilanza senza oggetto. Non c'è nulla da attendere, infatti; ciò che
succede, succede. Non esistono leggi regole e scopi, né in natura né nei pensieri. Riacquistare la spontaneità della nostra natura originaria, la natura di Budda di tutte le cose, richiede un lungo percorso e costituisce una grande conquista spirituale. Attraverso la meditazione si può fare l'esperienza di sentire la nostra natura originaria.

Il programma basico dello Zen è quello di calmare la mente e il corpo, in un primo tempo, mediante la pratica della meditazione, con lo scopo di arrivare ad una visione interiore. Zazen (meditazione seduta), seduti con le gambe incrociate, la schiena dritta, la respirazione calma, il corpo e lo spirito unificati, senza spirito avido. Girando il proprio sguardo verso l'interno, ciascuno depone naturalmente i limiti dell'egoismo e fa direttamente l'esperienza del risveglio alla sua vera natura. La base della filosofia Zen è il silenzio, è il Ku (il silenzio totale), che è la condizione originaria della natura umana. Praticare aldilà di ogni oggetto è lo zazen più elevato;
soltanto sedersi senza scopo. Durante zazen non si pensa; anche se il
subconscio si manifesta, si lascia passare, non si ferma il pensiero, non si trattiene. In questo modo la coscienza diventa illimitata, infinita.

E' la coscienza cosmica (la cosmicità è la natura intrinseca della mente). Il metodo Zen, questo tipo di approccio alla realtà, è un metodo prescentifico, o metascentifico, o perfino antiscentifico. In questo modo, lo Zen si immerge nella fonte della creatività e beve ad essa tutta la vita che contiene. Tale fonte è l'inconscio dello Zen. L'inconscio è fuori dall'ambito della ricerca scientifica, l'inconscio si può solo sentire, e non nel senso comune del termine; pertanto, bisogna imparare a padroneggiare le vie dell'inconscio e la saggezza sconosciuta del Sé. Ciò che esiste nel centro interiore è aldilà di ogni spiegazione. Viceversa la scienza inizia là dove comincia la spiegazione, all'esterno; è una ricerca sulla circonferenza, nell'ambiente dell'uomo. Di solito la consapevolezza scientifica è oggettiva: conosci gli altri, conosci il mondo, conosci le stelle.

Nel momento, però, in cui la consapevolezza si rivolge all'interno e inizia a conoscere se stessa; in altre parole, nel momento in cui la consapevolezza diventa oggetto della propria conoscenza l'illuminazione fiorisce. D'ora in poi la consapevolezza sarà il padrone e l'inconsapevolezza il servitore. La porta della verità non è, né il centro, né la circonferenza  - che sono in realtà due facce di una sola e unica verità, ma uno stato in cui colui che vede e la cosa vista, l'osservatore e la cosa osservata, si uniscono. Solo l'uomo libero da opinioni e da idee preconcette può vedere l'unità e l'integrità della vita.

Scoprire il proprio inconscio non è un atto intellettuale, ma un'esperienza affettiva che non può essere spiegata a parole.

L'intelletto, in ultima analisi, è superficiale; è qualcosa che fluttua alla
superficie della coscienza, e la superficie si deve spaccare perché possa
raggiungere l'inconscio cosmico; lo spirito logico deve dissolversi
progressivamente per consentire al pensiero translogico ed unificatore dello Zen di emergere. Una volta che tale livello sia raggiunto, la comune coscienza viene pervasa dal flusso dell'inconscio; è questo, appunto, il momento in cui lo spirito finito comprende di avere le proprie radici nell'infinito. La presa immediata e piena sul mondo è proprio la finalità dello Zen, è l'autentico risveglio (farsi consapevoli) che si trova alla radice insieme del pensiero creativo intellettuale, e dell'immediata apprensione intuitiva, equivale al superamento della contaminazione affettiva e della manipolazione cerebrale; equivale alla scomparsa della polarità conscio e inconscio. Significa non avere nulla ed essere.

Il seguace Zen consegue, qui, il suo oggetto, perché è giunto a
destinazione; egli è adesso pervenuto nel cuore delle dualità e include in sé tutto ciò che vi è di intellettuale, di affettivo, o creativo in modo
indiscriminato, indifferenziato o meglio assoluto. Le sue attività non sono cambiate, ciò che è cambiato è la sua soggettività. La mia esperienza personale della consapevolezza nella vita di tutti i giorni, è quella di perderla facilmente, continuamente, in ogni momento. Mi capita a volte di perdermi nelle reazioni, o mi isolo da ciò che accade. Ogni giorno, infinite volte perdo la consapevolezza; spesso cado vittima della "tigre della mente". Purtroppo le pressioni, le tensioni e la frenesia della vita non sono certo condizioni ideali per la consapevolezza. Tuttavia non appena riconosco di averla smarrita posso ricominciare d'accapo.

Si affaccia, così, un Sé semplice, basato sul respiro, capace di arrendersi al momento presente. Ecco, quanto voglio sottolineare come esperienza personale; nel momento in cui riconosco di aver smarrito la consapevolezza, l'ho già riconquistata, perché quel riconoscimento stesso è una funzione della consapevolezza. La consapevolezza infatti non è qualcosa di astratto o lontano: per ognuno di noi prende vita nel momento in cui iniziamo, e ogni volta che ricominciamo. Essere consapevoli, svegli, ricordarsi di Sé, osservare, non farsi travolgere dal chiacchiericcio della mente, questo è il potere della consapevolezza, essere attenti e presenti con equilibrio, serenità e comprensione, sia che l'esperienza sia piacevole, spiacevole,  o neutra. Restare un semplice testimone indifferente.

Quando siamo presenti, osserviamo con la visione meditativa, con
un'attenzione profonda e penetrante, caratterizzata dall'assenza di
superficialità, e sappiamo incontrare direttamente ciò che accade nel nostro mondo (la nuda realtà), con apertura, sensibilità, lucidità. Quando accendiamo la luce dell'attenzione saggia, possiamo vedere con chiarezza, comprendiamo che non dobbiamo fare neppure un passo in nessuna direzione, per ritrovare il nostro posto dove possiamo essere a nostro agio; è proprio qui, dove ci troviamo ora. Di solito, manchiamo d'intuizione e di una chiara visione, perché siamo prigionieri dei nostri condizionamenti. La realtà è già presente in noi; ma, per la nostra cecità, essa ci sfugge completamente.
In un certo senso sperimentiamo qualcosa di continuo, ma siamo scarsamente in contatto con le nostre esperienze, solo a metà svegli di fronte alla realtà.

In questo senso possiamo dire che non sperimentiamo veramente. Per la Gestalt la vera esperienza è terapeutica, o correttiva di per sé; è quel punto al di là delle tecniche, come realtà-consapevolezza-responsabilità. Un momento di veglia, un momento di contatto con la realtà è quello in cui i fantasmi dei nostri sogni a occhi aperti possono venire riconosciuti per quello che sono, è un momento di addestramento all'esperienza, attraverso il quale possiamo imparare, ad esempio, che non c'è nulla da temere, o che la soddisfazione di essere vivi supera la sofferenza o la perdita che avremmo
voluto evitare col nostro dormiveglia. Colui che ha sviluppato la
stimolazione dall'interno, può ricongiungersi, così, ai suoi sensi ed
entrare in contatto con la propria esperienza, ridestandosi e tornando alla realtà nuda della vita che è "il Sé in Sé per Sé", il Sé che fa se stesso in Sé stesso, qualunque cosa capiti.

Questa è la vera dimensione spirituale, quel punto in cui non si è più
diretti dall'io, ma da una coscienza non dualista; non c'è più nessuno che pensa: "tu giungi senza alcun concetto di giungere e vedi senza alcun concetto di vedere". Finche' non avremo superato il dualismo, non conosceremo la libertà definitiva (l'ultima realtà). Realizzare questa profonda comprensione di sé stessi è la fonte della vera saggezza; l'autentica saggezza risiede nell'osservazione e nella conoscenza di se stessi. Il punto di vista della terapia gestaltica, su questo come su altri temi, è che la consapevolezza è abbastanza, tenendo bene a mente la distinzione tra essere aperti all'esperienza e fabbricare esperienze. 
Infatti le azioni che derivano dall'esperienza e la esprimono non sono tese a produrre un effetto.

Le azioni che affermano la vita, piuttosto che negarla; che rivelano,
piuttosto che nascondere, che esprimono piuttosto che reprimere, sono in un certo senso non azioni. L'azione, infatti, contrariamente alla manipolazione (di se stessi, o degli altri), viene sperimentata come fluente dall'interno, invece che compiuta per andare incontro a modelli estrinseci. 
Per finire, voglio dire che la consapevolezza è il nostro vero Sé: è ciò che siamo.
Perciò, in un certo senso, non c'è bisogno di sviluppare la consapevolezza:
basta rendersi conto di come la blocchiamo con pensieri, fantasie, opinioni e giudizi.

Stare semplicemente nell'istante; fare una cosa alla volta e consegnarci
totalmente a essa è il modo più efficiente di vivere; è essere semplicemente qui, vivere la nostra vita. "Niente di speciale". La vita è così com'è, il lavoro è così com'è, il mondo è così com'è, e forse, se sappiamo accettarlo così com'è, ci sveglieremo al suo significato.

In ogni situazione, che gli altri ci osservino o no, dovremmo essere
consapevoli di ciò che avviene in noi e stare in guardia contro la
trascuratezza e la disattenzione. Così, non nuoceremo agli altri. La meta è sviluppare gradualmente la consapevolezza, e attivare quella compassione e gentilezza amorevole che già sono in noi. E questo è alla portata di tutti.

Se ti è piaciuto questo post ti consigliamo di leggere: The Zone:Oltre il veloUn libro giallo che, pur rimanendo tale, tratta indirettamente dell'esperienza nel qui e ora, in maniera - secondo noi - più appassionante di tanti altri testi specifici sul tema.

lunedì 20 settembre 2010

I MISTERI DELLA FISICA QUANTISTICA

CONSIGLIATO:
Fonte: tratto dall'ottimo sito http://www.quieora.info/home/index.php

La fisica quantistica (la cui nascita si fa tradizionalmente risalire a Max Planck nel 1900) oltre a costituire la teoria fisica più accreditata e potente di cui oggi disponiamo è stata anche la maggiore rivoluzione intellettuale degli ultimi cento anni, che ha definitivamente fatto a pezzi un'idea radicata fin dai tempi di Aristotele: la fiducia nel senso comune.


Facciamo un piccolo esempio: una pallina da tennis lanciata contro una parete con due finestre può uscire passando attraverso l'una o l'altra finestra, ma non attraverso le due finestre contemporaneamente. Tuttavia, un elettrone che incontri una barriera con due fenditure, passa attraverso entrambe contemporaneamente. E non solo.
Nella fisica di Newton e di Maxwell un'onda e una particella sono due oggetti con proprietà differenti; nella meccanica quantistica un elettrone può rimbalzare come una particella e interferire con se stesso come un'onda. Il principio del terzo escluso va dunque a carte quarantotto nella teoria dei quanti, e insieme alla logica classica si devono rivedere profondamente anche altre strutture concettuali (in primo luogo quella di causalità) che contribuiscono a strutturare la nostra visione del mondo.
La fisica quantistica è arrivata a dimostrare che una minima azione su una particella ha immediatamente effetto sulla particella gemella anche se questa è stata spedita a miliardi di anni luce: è il fenomeno dell’ ”entanglement”.
In meccanica quantistica, secondo il famoso principio di indeterminazione di Heisenberg, è impossibile misurare con precisione, a un dato istante, sia la posizione sia la velocità di una particella. Ma immaginiamo una particella che si disintegri in due particelle, che schizzino via in direzioni opposte a uguale velocità: se misuriamo la posizione di una delle due particelle e la velocità dell'altra, riusciremo, unendo le informazioni raccolte, a conoscere sia la velocità sia la posizione di ogni singola particella.
Insomma, due particelle opportunamente predisposte - particelle entangled, come si dice - rimarrebbero soggette a "entanglement quantistico", un intreccio tra particelle, una «correlazione» a distanza che agirebbe in maniera istantanea: si verificano effetti non locali che ci obbligano a rivedere radicalmente la nostra concezione dello spazio e del tempo.



Nel 1982 un équipe di ricerca dell’Università di Parigi, diretta dal fisico Alain Aspect, ha condotto quello che potrebbe rivelarsi il più importante esperimento del ventesimo secolo. Aspect ed il suo team hanno infatti scoperto che, sottoponendo a determinate condizioni delle particelle subatomiche, come gli elettroni, esse sono capaci di comunicare istantaneamente l’una con l’altra, indipendentemente dalla distanza che le separa, sia che si tratti di dieci metri o di dieci miliardi di chilometri. E’ come se ogni singola particella sapesse cosa stiano facendo tutte le altre.
Le particelle subatomiche sono connesse non-localmente. Nel suo libro “La realtà quantistica”, Nick Herbert afferma che la non-localizzazione delle particelle spiegherebbe questa loro incredibile comunicazione non mediata né da campi né da nessun altro fenomeno (proprio perché le loro influenze e i loro contatti avverrebbero all’istante). Nessun filosofo e nessuno scienziato avrebbe mai pensato che le categorie di spazio e tempo, si sarebbero potute annullare così facilmente!

La più spettacolare applicazione del fenomeno dell'entanglement è il teletrasporto quantistico, una procedura che permette di trasferire lo stato fisico di una particella a un'altra particella, anche molto lontana dalla prima. Sembra un'idea concepibile solo in un film di fantascienza eppure, nel 1997 due gruppi di ricerca - uno diretto da Anton Zeilinger a Vienna, l'altro da Francesco De Martini a Roma - riuscirono a teletrasportare un singolo fotone. Nessuno sa con certezza se il teletrasporto si potrà realizzare anche per atomi e molecole, o addirittura per oggetti macroscopici, esseri umani inclusi. Ma questo primo passo già compiuto dischiude orizzonti inimmaginabili fino a pochi decenni or sono. La fisica quantistica rivelerebbe quindi una realtà molto diversa da quella che ci suggerisce la nostra esperienza sensoriale, e molto più ricca di mistero.

Il modello non-locale della realtà può addirittura condurre la fisica teorica verso quello che è stato il principale obbiettivo di Einstein: la definizione di una quinta forza, una superforza che racchiuda e spieghi in sé tutte le altre interazioni della natura.
Nel 1964 il fisico irlandese John Stewart Bell, dimostrò l’effettiva esistenza di un mondo non localizzato. In una prova matematica confermata da diversi esperimenti, chiamata “Teorema di Bell”, egli dimostrò che l’ipotesi secondo cui il mondo è intrinsecamente localizzato, è assolutamente errata. Se da tempi antichi, se non antichissimi, questa teoria si dà per scontata per lo meno in ambito esoterico, ai giorni nostri sono veramente tanti gli studiosi e i ricercatori all’avanguardia che cominciano ad appoggiarla: pensiamo a Capra, Bateson, Prigogine, Laszlo, Jantsch, Talbot ecc.. D’altronde anche eminenti fisici quali Einstein, Pauli, Bohr, Schrödinger, Heisenberg e Hoppenheimer non erano del tutto contrari ad una visione del mondo arricchita anche da una valenza prettamente spirituale.
Arrivare però a dire che la realtà è un’illusione confermando quanto vanno dicendo da millenni le tradizioni esoteriche, sia Occidentali che Orientali, è veramente rivoluzionario.
Colui il quale illustrò ancora più approfonditamente questa incredibile scoperta fu David Bohm, già collaboratore di Einstein e Professore di fisica teorica al Birbeck College di Londra. Bohm fu uno dei più illustri scienziati dell’era contemporanea. Costui, grazie al concetto di “ologramma” è riuscito a spiegarci in termini scientifici che cos’è il velo di maya di cui la filosofia indiana ha sempre parlato.
Dalle teorie di Bohm, si evince che le energie elettromagnetiche e l’intera realtà fisica, sono create dalla prodigiosa e “magica” natura delle particelle subatomiche, le quali, incredibilmente, si presentano sotto il duplice aspetto di particelle e di onde. Ciò permette a tali particelle di rimanere in contatto e di venire quindi informate a vicenda, indipendentemente dalla distanza che le separa, la quale dunque, a questo punto, è una pura illusione. Le distanze quindi, servirebbero alla mente, per organizzare meglio i dati sensoriali provenienti dal mondo “esterno”, esse però, tranne che nella costruzione di questo ordine mentale, non esistono in realtà.



In sostanza, secondo Bohm, le particelle non sono entità individuali ma estensioni di uno stesso organismo, e il fatto che appaiano separate, deriva dalla nostra incapacità di vedere la realtà nella sua interezza. Noi vediamo solo la parte e non il tutto, non riuscendo dunque a capire che il tutto è la parte e la parte è il tutto.
Immaginiamo un acquario, al cui interno sta nuotando un pesce. Noi non vediamo il pesce a occhio nudo ma solo grazie a due telecamere, una posizionata di fronte all’acquario, l’altra di lato. All’apparenza sembrerebbero due entità separate, due pesci diversi, uno visto da davanti, l’altro di lato ma guardandoli meglio potremmo scoprire un legame interessante: quando uno si gira, si gira anche l’altro. Ignari dell’esperimento, potremmo addirittura pensare che i due pesci comunicano tra loro, istantaneamente e misteriosamente. Il comportamento delle particelle subatomiche è altrettanto misterioso, e non fa che accreditare l’esistenza di un livello di realtà, del quale noi non siamo minimamente consapevoli.
Grazie agli ologrammi prodotti dal laser, Bohm, in sostanza, è arrivato a scoprire che la minima parte dell’ologramma di un oggetto contiene l’oggetto intero, come accade matematicamente nei frattali. Se noi produciamo l’ologramma di una rosa e poi scomponiamo in piccolissime parti quell’ologramma, non perderemmo mai l’oggetto nella sua interezza, pur avendolo più volte diviso! Esso infatti è contenuto in ogni singola frammentazione, in ogni – a questo punto apparente – divisione della rosa stessa.
La stessa capacità umana di attingere all’istante, ad un qualsiasi ricordo, tra miliardi e miliardi di informazioni contenute nel nostro cervello, non fa che avvalorare la non-localizzazione dei ricordi, e quindi la non “catalogabilità” del tempo.
Queste importanti rivelazioni di parte del mondo scientifico contemporaneo non sono che l’ennesima conferma di saggezze antiche e possono dunque dirigere il mondo intero verso una convivenza migliore.
Se tutto è connesso infatti è assolutamente controproducente da parte di un essere provocare il dolore o addirittura la morte di un altro essere. Ad un livello profondo di realtà che Bohm definirebbe “implicito”, è come far male a se stessi.

( Tratto da: Lucio Giuliodori.)