Visualizzazione post con etichetta krishnamurti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta krishnamurti. Mostra tutti i post
sabato 5 aprile 2014
Il Silenzio Krishnamurti
Krishnamurti libri:
Il silenzio interiore è come lo sbocciare di un fiore, quando si apre rivela quello che era già presente ma nascosto.
E’ come la luce diffusa di una bella sera di settembre, quando tutto sembra toccato dalla qualità della luce e anche le ombre diventano gentili.
E’ una fonte di visione profonda e gioia senza contropartite.
Ma non lo si incontra facilmente.
Ha una sola porta d’accesso: il presente, l’adesso. E questa porta – che è una condizione della mente – è sbarrata quando si è assorbiti lontano dall’adesso, dalla sua semplicità.
Qui compare tutto il complicato, apparentemente infinito, gioco della mente, del pensiero, delle emozioni, delle definizioni e dei ricordi. E dei progetti.
Mettere ordine in tutto questo, materialmente e interiormente, è senz’altro necessario. Il pensiero va e ritorna là dove manca ordine, è la sua funzione.
Questo dice qualcosa della natura del silenzio.
Essendo la sua natura pace, libertà completa dal dolore e dal desiderio, mette in evidenza il dolore e il desiderio. Per questo chi vi è preso fugge il silenzio e il presente, perché rendono il disordine interiore ancora più forte, evidente, chiaro.
Cacciati dal presente, maestro troppo severo, si ritorna al gioco della fuga, della contraddizione e del desiderio.
Eppure è solo attraverso il presente che può accadere una visione chiara, semplice, oggettiva.
E’ nel presente che tutto trova il suo giusto posto, che la scelta finisce, che il raggio di luce che entra dalla finestra cadendo sulla quotidianità acquista il suo peso, il suo spazio, mettendo silenziosamente al loro posto la memoria e il desiderio.
Il silenzio è permettere all’attenzione di incontrare ciò che è, interiormente e intorno a noi. Un’emozione, un pensiero o il rumore della pioggia che sta cadendo delicatamente; il rumore della stufa a legna e del frigo nel silenzio della casa. Quando l’attenzione è così vigile, aperta e senza centro è libertà ed è vita.
Quasi tutto il nostro tempo scorre nell’opacità di un’attenzione limitata, concentrata su poche cose, sul risolvere una questione particolare mentre tutto il resto scorre sullo sfondo.
Come dire l’immensa perdita che questo fatto costituisce?
La differenza è davvero tra vivere e non vivere. Eppure sembra che dare tutta l’attenzione ad un problema sia del tutto naturale, anzi, porti più vita ed energia. Che è l’energia dello spazzare via tutti i dubbi, tutte le distrazioni. C’è una cecità in questo. La cecità della rigidità, del perseguire il successo mentre si trascura tutto il resto.
E’ l’ancorarsi a idee predefinite che blocca l’attenzione.
E’ il sentire e vivere l’idea come sostitutiva di ciò che è che blocca la percezione.
Ed è l’assenza di consapevolezza che questo accade davvero che porta ad auto ingannarsi.
Jiddu Krishnamurti
venerdì 26 luglio 2013
KRISHNAMURTI FRASI
CONSIGLIATO:
lunedì 25 marzo 2013
KRISHNAMURTI FRASI
“Il vaso contiene l'acqua.. ed è l'acqua che dovete bere, non serve a nulla adorare il vaso.. purtroppo invece, l'umanità tende ad adorare il vaso e a dimenticare l'acqua….”
Jiddu Krishnamurti
CONSIGLIATO:
venerdì 1 giugno 2012
KRISHNAMURTI FRASE
CONSIGLIATO:
Non è un segno di buona salute mentale essere bene adattati a una società malata.
Krishnamurti
venerdì 4 maggio 2012
KRISHNAMURTI FRASI
giovedì 19 aprile 2012
KRISHNAMURTI... FRASI
Abbiamo accumulato tante ferite, e se non ne siamo consapevoli tutte le nostre azioni diventano reazioni a quelle ferite. Nella conoscenza di sé c'è la fine del dolore e, quindi, l'inizio della saggezza.
J. Krishnamurti
Share |
martedì 14 febbraio 2012
FRASI KRISHNAMURTI
“Imparare è ascoltare, non solo chi parla, ma anche quel fiume. Ascoltare il fiume mentre stiamo parlando, ascoltare il ragazzo che grida, ascoltare i tuoi pensieri, sensazioni, così che questi diventino completamente familiari. … Si dovrebbero anche ascoltare le conseguenze delle influenze esterne e delle reazioni; attraverso questo ascolto, questo vedere, viene l’imparare.”
J.Krishnamurti
Share |
J.Krishnamurti
Share |
lunedì 6 dicembre 2010
I conflitti della dualità – Jiddu Krishnamurti
Fonte. http://eliotroporosa.blogspot.com/
Qualsiasi conflitto, che sia fisico, psicologico o intellettuale, è uno spreco di energia.
E’ straordinariamente difficile rendersene conto e liberarsi da ogni conflitto, perché quasi tutti noi siamo stati educati a lottare, a fare sforzi.
Share |
Qualsiasi conflitto, che sia fisico, psicologico o intellettuale, è uno spreco di energia.
E’ straordinariamente difficile rendersene conto e liberarsi da ogni conflitto, perché quasi tutti noi siamo stati educati a lottare, a fare sforzi.
Questa è la prima cosa che ci insegnano a scuola: fare sforzi. Così continuiamo a lottare e a sforzarci per tutta la vita. Per essere buoni è necessario lottare; bisogna combattere il male, bisogna essere capaci di resistere, di controllarsi.
Così, in qualsiasi campo, da quello dell’educazione a quello sociologico o religioso, agli esseri umani si insegna a lottare.
Vi dicono che per trovare Dio dovete lavorare, dovete sottoporvi a una disciplina, dovete praticare degli esercizi, dovete torturare la vostra anima, tormentare la vostra mente e il vostro corpo; dovete rifiutare, reprimere; non dovete guardare certe cose; dovete lottare, lottare sempre per ottenere qualcosa al cosiddetto livello spirituale, che in realtà non è affatto spirituale! Così nella società ognuno si preoccupa solo di se stesso e della propria famiglia .
… In qualunque direzione ci muoviamo, noi non facciamo altro che sprecare energia. E questo spreco di energia è fondamentalmente conflitto: un conflitto tra quello che “devo” o “dovrei” fare e quello che “non devo” o “non dovrei” fare. Quando si è creata una dualità, il conflitto diventa inevitabile.
Allora bisogna capire la dualità, come si produce e come funziona. E’ evidente che ci sono l’uomo e la donna, il rosso e il verde, la luce e il buio, l’alto e il basso; questi sono fatti. Ma è quando facciamo uno sforzo per separare l’idea dal fatto che sprechiamo energia.
Share |
Il Potere di Adesso , Eckhart Tolle Ti consiglio di leggerlo...
martedì 28 settembre 2010
L'ORDINE IMPLICATO di David Peat.
Fonte: http://www.scienzaeconoscenza.it/index.php

Il catalizzatore, di quella che fu la maggiore trasformazione della vita e del lavoro di Bohm, fu scoperto da Saral Bohm, durante una delle loro visite in libreria. Lì, lei venne a contatto con un libro che conteneva la frase “l'osservatore è l'osservato”. Questo suonava esattamente come quel tipo di cose di cui, sempre, Bohm parlava nel contesto della teoria quantistica.
Saral gli mostrò The first and last freedom, (La prima e ultima libertà - Astrolabio 1969 - ndt) scritto dal maestro indiano Jiddu Krishnamurti. Bohm lo lesse il più velocemente possibile, poi prese in prestito altri libri dello stesso autore.
Testimoniavano l'esistenza di un pensatore che aveva visto profondamente e autenticamente nell'essenza del problema umano. […] Avendo sognato a lungo sulla trascendenza, si apriva ora per Bohm un passaggio verso ciò che giace oltre i pensieri. […] Entrò appassionatamente e con tutto il cuore dentro questo irruente mondo esoterico. Nei libri di Krishnamurti trovava un'analisi chiara della natura della coscienza e del meccanismo grazie al quale il pensatore separa se stesso - se stessa, quale entità distaccata, indipendente. […] Le osservazioni di Krishnamurti che “il pensatore è il pensiero” e “l'osservatore è l'osservato” colpirono Bohm in quanto somiglianti con la sua stessa - e di Niels Bohr - meditazione sul ruolo dell'osservatore nella teoria quantistica. Bohm aveva sperimentato personalmente il modo in cui l'osservazione di un determinato pensiero cambia il movimento del pensiero stesso. […]
Il maestro indiano indicava una consapevolezza diretta del piano universale, lo stesso piano che Bohm stava cercando di descrivere nella sua fisica. Non appena ebbero modo di parlare, l'energia focalizzata di Bhom lo rese capace di penetrare e rimanere nell' “indicibile”, allo stesso tempo sollecitando il maestro indiano a chiarire ed espandere il suo insegnamento. […] Le sue conversazioni con il maestro indiano erano così importanti per Bohm che ogni anno lui e Saral andarono a Saanen, in Svizzera, dove Krishnamurti teneva i sui discorsi. Fu durante questo periodo che Bohm gli parlò di fisica. Krishnamurti non si soffermava molto sulla scienza, o su ciò che riguarda la musica, l'arte, la filosofia o la letteratura. In ogni caso avvisò Bohm di “cercare di cominciare dallo sconosciuto”. Per Bohm il tema cruciale era come dissolvere i compartimenti stagni della conoscenza e permettere che operasse qualcosa di nuovo e creativo.
Il pensiero è lo strumento grazie al quale la scienza va avanti, tuttavia, anche, il pensiero controlla il pensatore. La più profonda intuizione scientifica si manifesta, credeva Bohm, solo quando la mente raggiunge uno stato di così intensa energia che gli abituali modelli di pensiero sono dissolti. Il momento creativo di un Archimede, di un Newton o di un Einstein includono la stessa trasformazione di cui parlava Krishnamurti. […]
Egli chiedeva che il pensiero fosse spinto al suo limite, fino a quel punto in cui apre la strada a qualcosa d'altro. Bohm, in ogni caso, credeva che il pensiero avesse ancora un ruolo significativo da giocare. Quando “era portato all'interno dell'ordine”, poteva essere un valido strumento. Pensare era il centro della sua vita, come avrebbe potuto portare avanti la fisica senza? Questa domanda continuava a confonderlo. […]
Bohm era consapevole di un'intensa, attenta capacità di osservazione in Krishnamurti. In particolare aveva notato l'attenzione che Krisnhamurti dava ai movimenti degli occhi. […]
Nel 1974, quando veniva a farmi visita da Ottawa, abbiamo passato diversi giorni a parlare di Krishnamurti. A quel tempo lo provocavo, nello spirito amabile della nostra conversazione, che fino a quando egli stesso non avesse sperimentato lo stato di cui Krishnamurti parlava, la sua discussione sulla trasformazione era ipotetica e vuota. A questo replicò: "beh, lasciamelo dire, ho visto alcune delle cose di cui parla Krishnamurti. Ho guardato la realtà e ho visto che è un'illusione.”
Molti si sono meravigliati dell'estensione del coinvolgimento con il maestro indiano. La sua comprensione di Krisnamurti era puramente “intellettuale” o dovette anch'egli entrare in uno stato di trasformazione?" […].
Bohm da parte sua arrivò a chiedersi perché tale trasformazione era accaduta solo a Krishnamurti…[…] era davvero libero dai condizionamenti? […]. Perché intorno a lui nessuno aveva sperimentato una trasformazione radicale della coscienza? Per Bohm la mente è “non locale”, perché la trasformazione non si era trasmessa? Nessuno dei suoi ascoltatori lo aveva ascoltato come si doveva? C'erano dei problemi nella sua comunicazione? C'era qualcosa d'incompleto nel suo messaggio? […]
Guardando al passato è difficile determinarlo, ma è certo che mentre alcuni dettero il benvenuto alla vicinanza tra Bohm e Krishnamurti, altri sarebbero stati felici di vedere il crearsi di un dissapore tra i due. […]
Verso la fine della sua vita per esempio[Bohm], parlò delle umiliazioni che aveva subito per mezzo di Krishnamurti il quale in sua presenza faceva delle battute taglienti sui “professori” e non aveva compreso l'importanza del lavoro di Bohm. Se solo, pensava Bohm, Krishnamurti avesse avuto la volontà di ascoltare le sue idee sull'ordine implicato, avrebbero magari trovato un modo di indagare ancora più approfondito. Forse l'idea dell'ordine implicato avrebbe aiutato le persone a comprendere quello che diceva Krishnamurti.
Tuttavia il maestro indiano non sembrò mai prendere troppo sul serio tali cose, definendole probabilmente un altro prodotto del pensiero. Se da un lato i confini del suo ego talvolta si dissolvevano in un'essenza o in piano ben più grandi, dall'altro l'immagine di Se impoverita di Bohm doveva essere difesa.
“Ora sono essenzialmente libero dai miei dolori [al petto ndt] così come sono libero, su K. e quello che dice, di prendere ciò che giusto e lasciare ciò che è sbagliato”
(da una lettera di Bohm del gennaio 1980)
Il pezzo è un mosaico di stralci tratti dal libro:
David Peat, Infinite Potential - The life and time of David Bohm - Perseus Publishing 1997
cura e traduzione di: Elsa Nityama Masetti
"Tutto quello che vediamo intorno - affermò Bohm - la provincia della fisica Newtoniana altro non è che la superficie del mondo, il suo ordine esplicato. Lì giace qualcosa di molto più profondo dal quale si dispiega il nostro ordine esplicato".
Il catalizzatore, di quella che fu la maggiore trasformazione della vita e del lavoro di Bohm, fu scoperto da Saral Bohm, durante una delle loro visite in libreria. Lì, lei venne a contatto con un libro che conteneva la frase “l'osservatore è l'osservato”. Questo suonava esattamente come quel tipo di cose di cui, sempre, Bohm parlava nel contesto della teoria quantistica.
Saral gli mostrò The first and last freedom, (La prima e ultima libertà - Astrolabio 1969 - ndt) scritto dal maestro indiano Jiddu Krishnamurti. Bohm lo lesse il più velocemente possibile, poi prese in prestito altri libri dello stesso autore.
Testimoniavano l'esistenza di un pensatore che aveva visto profondamente e autenticamente nell'essenza del problema umano. […] Avendo sognato a lungo sulla trascendenza, si apriva ora per Bohm un passaggio verso ciò che giace oltre i pensieri. […] Entrò appassionatamente e con tutto il cuore dentro questo irruente mondo esoterico. Nei libri di Krishnamurti trovava un'analisi chiara della natura della coscienza e del meccanismo grazie al quale il pensatore separa se stesso - se stessa, quale entità distaccata, indipendente. […] Le osservazioni di Krishnamurti che “il pensatore è il pensiero” e “l'osservatore è l'osservato” colpirono Bohm in quanto somiglianti con la sua stessa - e di Niels Bohr - meditazione sul ruolo dell'osservatore nella teoria quantistica. Bohm aveva sperimentato personalmente il modo in cui l'osservazione di un determinato pensiero cambia il movimento del pensiero stesso. […]
Il maestro indiano indicava una consapevolezza diretta del piano universale, lo stesso piano che Bohm stava cercando di descrivere nella sua fisica. Non appena ebbero modo di parlare, l'energia focalizzata di Bhom lo rese capace di penetrare e rimanere nell' “indicibile”, allo stesso tempo sollecitando il maestro indiano a chiarire ed espandere il suo insegnamento. […] Le sue conversazioni con il maestro indiano erano così importanti per Bohm che ogni anno lui e Saral andarono a Saanen, in Svizzera, dove Krishnamurti teneva i sui discorsi. Fu durante questo periodo che Bohm gli parlò di fisica. Krishnamurti non si soffermava molto sulla scienza, o su ciò che riguarda la musica, l'arte, la filosofia o la letteratura. In ogni caso avvisò Bohm di “cercare di cominciare dallo sconosciuto”. Per Bohm il tema cruciale era come dissolvere i compartimenti stagni della conoscenza e permettere che operasse qualcosa di nuovo e creativo.
Il pensiero è lo strumento grazie al quale la scienza va avanti, tuttavia, anche, il pensiero controlla il pensatore. La più profonda intuizione scientifica si manifesta, credeva Bohm, solo quando la mente raggiunge uno stato di così intensa energia che gli abituali modelli di pensiero sono dissolti. Il momento creativo di un Archimede, di un Newton o di un Einstein includono la stessa trasformazione di cui parlava Krishnamurti. […]
Egli chiedeva che il pensiero fosse spinto al suo limite, fino a quel punto in cui apre la strada a qualcosa d'altro. Bohm, in ogni caso, credeva che il pensiero avesse ancora un ruolo significativo da giocare. Quando “era portato all'interno dell'ordine”, poteva essere un valido strumento. Pensare era il centro della sua vita, come avrebbe potuto portare avanti la fisica senza? Questa domanda continuava a confonderlo. […]
Bohm era consapevole di un'intensa, attenta capacità di osservazione in Krishnamurti. In particolare aveva notato l'attenzione che Krisnhamurti dava ai movimenti degli occhi. […]
Nel 1974, quando veniva a farmi visita da Ottawa, abbiamo passato diversi giorni a parlare di Krishnamurti. A quel tempo lo provocavo, nello spirito amabile della nostra conversazione, che fino a quando egli stesso non avesse sperimentato lo stato di cui Krishnamurti parlava, la sua discussione sulla trasformazione era ipotetica e vuota. A questo replicò: "beh, lasciamelo dire, ho visto alcune delle cose di cui parla Krishnamurti. Ho guardato la realtà e ho visto che è un'illusione.”
Molti si sono meravigliati dell'estensione del coinvolgimento con il maestro indiano. La sua comprensione di Krisnamurti era puramente “intellettuale” o dovette anch'egli entrare in uno stato di trasformazione?" […].
Bohm da parte sua arrivò a chiedersi perché tale trasformazione era accaduta solo a Krishnamurti…[…] era davvero libero dai condizionamenti? […]. Perché intorno a lui nessuno aveva sperimentato una trasformazione radicale della coscienza? Per Bohm la mente è “non locale”, perché la trasformazione non si era trasmessa? Nessuno dei suoi ascoltatori lo aveva ascoltato come si doveva? C'erano dei problemi nella sua comunicazione? C'era qualcosa d'incompleto nel suo messaggio? […]
Guardando al passato è difficile determinarlo, ma è certo che mentre alcuni dettero il benvenuto alla vicinanza tra Bohm e Krishnamurti, altri sarebbero stati felici di vedere il crearsi di un dissapore tra i due. […]
Verso la fine della sua vita per esempio[Bohm], parlò delle umiliazioni che aveva subito per mezzo di Krishnamurti il quale in sua presenza faceva delle battute taglienti sui “professori” e non aveva compreso l'importanza del lavoro di Bohm. Se solo, pensava Bohm, Krishnamurti avesse avuto la volontà di ascoltare le sue idee sull'ordine implicato, avrebbero magari trovato un modo di indagare ancora più approfondito. Forse l'idea dell'ordine implicato avrebbe aiutato le persone a comprendere quello che diceva Krishnamurti.
Tuttavia il maestro indiano non sembrò mai prendere troppo sul serio tali cose, definendole probabilmente un altro prodotto del pensiero. Se da un lato i confini del suo ego talvolta si dissolvevano in un'essenza o in piano ben più grandi, dall'altro l'immagine di Se impoverita di Bohm doveva essere difesa.
“Ora sono essenzialmente libero dai miei dolori [al petto ndt] così come sono libero, su K. e quello che dice, di prendere ciò che giusto e lasciare ciò che è sbagliato”
(da una lettera di Bohm del gennaio 1980)
Il pezzo è un mosaico di stralci tratti dal libro:
David Peat, Infinite Potential - The life and time of David Bohm - Perseus Publishing 1997
cura e traduzione di: Elsa Nityama Masetti
giovedì 17 giugno 2010
Juddu Krishnamurti e David Bohm. Incontro tra misticismo e scienza
Juddu Krishnamurti (1895-1986) è un filosofo e un mistico che da leader predestinato della Società Teosofica ha saputo rinunciare a questa posizione di preminenza istituzionale per farsi portatore di un insegnamento basato sulla ricerca personale della verità. David Bohm (1917-1992) è un fisico, un filosofo, un mistico, un attivista sociale statunitense, che ha speso cinquant’anni a investigare l’affascinante teoria che tutte le parti dell’universo sono fondamentalmente interconnesse, e formano un tutto ininterrotto, un flusso continuo; ha creato delle teorie che si estendono alla religione, alla filosofia, alle arti, alle scienze umane oltre che a numerosi campi scientifici. Dal loro sodalizio è scaturita una visione della realtà che cerca di declinare in modo nuovo il rapporto tra le intuizioni della religiosità e della mistica e le rigorose teorie della scienza.
Al momento del loro incontro, Jiddu Krishnamurti viene da una radicalità di esperienza mistica e di vita. Nato l’11 maggio 1895 a Madanapalle, un piccolo paese vicino Madras, nell’India Meridionale, nel 1905 perde la madre, e nel 1909 si trasferisce con il padre Narianiah ed i quattro fratelli sopravvissuti ad Adyar, dove vivono in una una capanna in condizioni molto miserevoli. In quei pressi si trova il quartier generale della Società Teosofica, di cui è presidente Annie Besant. Un giorno Charles Leadbeater, suo stretto collaboratore, vedendolo, appena quattordicenne, mentre con il fratello Nitya fa il bagno sulla spiaggia di Adyar, ispirato dai poteri di chiaroveggenza di cui si ritiene dotato si convince di aver trovato in lui il ragazzo attraverso il quale la Divinità si sarebbe manifestata. Per questo motivo, nel 1910, la Besant chiede ed ottiene da Narianiah la tutela legale di Krishnamurti e di Nitya. Considerato l’ultimo Iniziato vivente in attesa della venuta del futuro Maitreya, Annie Besant lo tiene vicino come fosse suo figlio e lo alleva con lo scopo di utilizzare le sue capacità come veicolo del pensiero teosofico. Nel 1911 viene fondato l’Ordine Internazionale della Stella d’Oriente, di cui Krishnamurti è messo a capo, e il cui intento è quello di preparare l’avvento del Maestro del Mondo. I due fratelli sono trasferiti in Inghilterra dove vengono educati ed istruiti alla maniera inglese ed iniziati alle dottrine esoteriche della Teosofia. Negli anni a seguire Krishnamurti comincia a tenere le sue prime conferenze e ad dispensare i suoi insegnamenti ai membri dell’Ordine; ben presto tuttavia inizia a mettere in discussione i metodi teosofici ed a prenderne le distanze, sviluppando un proprio pensiero indipendente. Nel 1922 si trasferisce, sempre accompagnato dal fratello, ad Ojai, in California, dove per la prima volta ha luogo quello che viene chiamato il “processo”: per diversi mesi Krishnamurti soffre di svenimenti e dolori intensi alla nuca e lungo la colonna vertebrale, eventi che vengono interpretati come necessari per la sua trasformazione spirituale, e che egli poi racconterà come parte della sua straordinaria esperienza mistica; essi continuano a verificarsi anche in seguito, e soprattutto attorno al 1961. Nel 1925 Nitya, da tempo ammalato di tubercolosi, muore, lasciando il fratello in un profondo sconvolgimento. In questo periodo aumenta notevolmente l’insoddisfazione di Krishnamurti nei riguardi della Teosofia e delle sue pratiche; finché nel 1929, in occasione di un raduno della Stella d’Oriente tenutosi in Olanda, alla presenza di più di 3000 fedeli, Krishnamurti scioglie l’Ordine, proclamando che “La verità è una terra senza sentieri” e che non la si potrà mai ottenere attraverso nessuna organizzazione, chiesa, maestro o guru. In seguito chiude ogni suo rapporto con la Società Teosofica e, pur volendo restituire tutte le donazioni ricevute dagli adepti – si parla di ingenti somme di denaro e di diverse ville e terreni – non gli è difficile trovare nuovi fondi per iniziare la sua nuova attività divulgatrice, grazie ai finanziamenti di alcuni benefattori ed alle vendite dei suoi primi libri: ha ormai maturato la sua verità ed è pronto per diffonderla.

Profilo di Juddu Krishnamurti
Sempre in occasione del discorso per lo scioglimento dell’Ordine, Krishnamurti dichiara: “Il mio unico scopo è rendere l’uomo assolutamente, incondizionatamente libero”. Per i successivi cinquantasette anni egli viaggia in lungo e in largo per il mondo al fine di trasmettere il suo insegnamento liberatorio, rifiutando sempre l’adulazione e lo status di guru. Crea delle fondazioni che servono ad organizzare le sue conferenze ed a pubblicare i suoi scritti e fonda delle scuole – la formazione scolastica è sempre stata una delle sue maggiori preoccupazioni – in India, in Inghilterra ed in America, dove “sia gli alunni, che gli insegnanti possono fiorire interiormente”.
Muore il 17 febbraio 1986 ad Ojai.
Nel 1938 Krishnamurti incontra Aldous Huxley che diviene suo amico e grande ammiratore. Nel 1956 viene ricevuto dal Dalai Lama. Intorno agli anni ‘60 conosce il maestro yoga B.K.S. Iyengar, dal quale prende lezioni. Nel 1984 parla con gli scienziati del Los Alamos National Laboratory in New Mexico, U.S.A. David Bohm trova nelle parole di Krishnamurti dei punti in comune con le sue nuove teorie fisiche e i due danno vita ad una serie di dialoghi che contribuiscono a costruire un “ponte” tra il cosiddetto misticismo e la scienza.
Krishnamurti parla di come nello specchio dei rapporti, umani e con le cose, ognuno può scoprire il contenuto della propria coscienza che è comune a tutta l’umanità secondo il principio del non-dualismo tipico dell’Advaita Vedanta. Sostiene che questo può essere fatto in modo diretto, scoprendo che la divisione tra osservatore e ciò che è osservato è in realtà dentro noi stessi. Proprio questa divisione dualistica, che impedisce la percezione diretta della realtà, è alla base del conflitto e dell’infelicità dell’uomo.
La sua celebre affermazione “la Verità è una terra senza sentieri” può ben rappresentare il nocciolo del suo insegnamento che vuole spronare l’essere umano a liberarsi da ogni strada già tracciata, dal passato, dai dogmi, dalle ideologie, guardando la realtà senza alcun condizionamento. Dal discorso di scioglimento dell’Ordine della Stella, il 3 agosto 1929, a Ommen, in Olanda:
Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una “fede”. La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri. Per Krishnamurti la scuola deve essere un posto dove l’insegnante e l’allievo esplorano non solo il mondo esterno della conoscenza ma anche il proprio pensiero e il proprio comportamento per capire il condizionamento che distorce la realtà, perché solo liberi dai condizionamenti si può veramente imparare. Per comprendere è necessaria l’intenzione di non aspettarsi aiuti dall’esterno ma bensi’ di porsi come maestro di se stessi e di scavare per scoprire l’umanità partendo dalla intimità. Alcuni suoi aforismi:
Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo
Non serve dare risposte, ma spronare gli uomini alla ricerca della verità
La vera rivoluzione per raggiungere la libertà è quella interiore, qualsiasi rivoluzione esterna è una mera restaurazione della solita società che a nulla serve
La rivoluzione interiore va fatta da sé per sé, nessun maestro o guru può insegnarti come.

Juddu Krishnamurti
Bohm sviluppa l’approccio delle onde pilota di Louis de Broglie, giungendo alla cosiddetta interpretazione di Bohm della meccanica quantistica (nota anche come teoria De Broglie-Bohm). Inoltre apporta significativi contributi alla neuropsicologia e allo sviluppo del modello olonomico del funzionamento del cervello, grazie alla collaborazione con il neuroscienziato di Standford Karl Pribram. Secondo il modello olonomico il cervello opera in modo simile a un ologramma, in conformità ai principi della matematica quantistica e alle caratteristiche dei modelli delle onde d’interferenza. Queste onde possano comporre forme come ologrammi, in base ai dati dell’applicazione dell’Analisi di Fourier per decomporre le onde in singoli seni. Bohm con Pribram elabora un teoria basata su una descrizione in termini matematici dei processi e delle interazioni neuronali: i neuroni sarebbero capaci di leggere le informazioni in quanto queste si presentano sotto forma di onde, per poi convertirle in schemi di interferenza e trasformarle in immagini tridimensionali. In sostanza, noi non vedremmo gli oggetti “per come sono” – in accordo con quanto messo in luce dalla teoria della relatività generale – ma solamente la loro informazione quantistica. Nell’universo esiste un ordine implicito (implicate order), che non vediamo e che Bohm paragona ad un ologramma nel quale la sua struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua singola parte; sovrapposto a questo vi è un ordine esplicito (explicate order) che è ciò che realmente vediamo. Quest’ultimo è il risultato dell’interpretazione che il nostro cervello ci offre delle onde (o pattern) di interferenza che compongono l’universo, e secondo tale ipotesi, la localizzazione spazio-temporale degli oggetti è falsa, o comunque illusoria. Poiché Bohm ritiene che l’universo sia un sistema dinamico e quindi in continuo movimento, e siccome con il termine ologramma solitamente ci si riferisce ad una immagine statica, Bohm preferisce descrivere l’universo utilizzando il termine, da lui creato, di Olomovimento. Dopo l’esperimento di Aspect e colleghi del 1982 che rivela una comunicazione istantanea fra fotoni a distanze infinitamente grandi, Bohm, che si era già confrontato con lo stesso problema durante la sua riformulazione del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, ribadisce come non vi sia alcuna propagazione di segnale a velocità superiori a quella della luce, bensì che si tratti di un fenomeno non riconducibile ad alcuna misurazione spaziotemporale. Il legame tra fotoni nati da una stessa particella sarebbe quindi dovuto all’esistenza di un insieme di variabili nascoste che formano un ordine della realtà che noi normalmente non percepiamo, nel quale ogni cosa (particella) non è da considerarsi come cosa separata o “autonoma”, bensì come facente parte di un ordine atemporale e aspaziale universale, cioè l’Olomovimento. Bohm scrive che “noi dobbiamo imparare ad osservare qualsiasi cosa come parte di una Indivisa Interezza” (“Undivided Wholeness”), cioè che tutto è Uno.
Fonte: tratto dall'ottimo sito http://www.axismundi.biz/?page_id=1287
Al momento del loro incontro, Jiddu Krishnamurti viene da una radicalità di esperienza mistica e di vita. Nato l’11 maggio 1895 a Madanapalle, un piccolo paese vicino Madras, nell’India Meridionale, nel 1905 perde la madre, e nel 1909 si trasferisce con il padre Narianiah ed i quattro fratelli sopravvissuti ad Adyar, dove vivono in una una capanna in condizioni molto miserevoli. In quei pressi si trova il quartier generale della Società Teosofica, di cui è presidente Annie Besant. Un giorno Charles Leadbeater, suo stretto collaboratore, vedendolo, appena quattordicenne, mentre con il fratello Nitya fa il bagno sulla spiaggia di Adyar, ispirato dai poteri di chiaroveggenza di cui si ritiene dotato si convince di aver trovato in lui il ragazzo attraverso il quale la Divinità si sarebbe manifestata. Per questo motivo, nel 1910, la Besant chiede ed ottiene da Narianiah la tutela legale di Krishnamurti e di Nitya. Considerato l’ultimo Iniziato vivente in attesa della venuta del futuro Maitreya, Annie Besant lo tiene vicino come fosse suo figlio e lo alleva con lo scopo di utilizzare le sue capacità come veicolo del pensiero teosofico. Nel 1911 viene fondato l’Ordine Internazionale della Stella d’Oriente, di cui Krishnamurti è messo a capo, e il cui intento è quello di preparare l’avvento del Maestro del Mondo. I due fratelli sono trasferiti in Inghilterra dove vengono educati ed istruiti alla maniera inglese ed iniziati alle dottrine esoteriche della Teosofia. Negli anni a seguire Krishnamurti comincia a tenere le sue prime conferenze e ad dispensare i suoi insegnamenti ai membri dell’Ordine; ben presto tuttavia inizia a mettere in discussione i metodi teosofici ed a prenderne le distanze, sviluppando un proprio pensiero indipendente. Nel 1922 si trasferisce, sempre accompagnato dal fratello, ad Ojai, in California, dove per la prima volta ha luogo quello che viene chiamato il “processo”: per diversi mesi Krishnamurti soffre di svenimenti e dolori intensi alla nuca e lungo la colonna vertebrale, eventi che vengono interpretati come necessari per la sua trasformazione spirituale, e che egli poi racconterà come parte della sua straordinaria esperienza mistica; essi continuano a verificarsi anche in seguito, e soprattutto attorno al 1961. Nel 1925 Nitya, da tempo ammalato di tubercolosi, muore, lasciando il fratello in un profondo sconvolgimento. In questo periodo aumenta notevolmente l’insoddisfazione di Krishnamurti nei riguardi della Teosofia e delle sue pratiche; finché nel 1929, in occasione di un raduno della Stella d’Oriente tenutosi in Olanda, alla presenza di più di 3000 fedeli, Krishnamurti scioglie l’Ordine, proclamando che “La verità è una terra senza sentieri” e che non la si potrà mai ottenere attraverso nessuna organizzazione, chiesa, maestro o guru. In seguito chiude ogni suo rapporto con la Società Teosofica e, pur volendo restituire tutte le donazioni ricevute dagli adepti – si parla di ingenti somme di denaro e di diverse ville e terreni – non gli è difficile trovare nuovi fondi per iniziare la sua nuova attività divulgatrice, grazie ai finanziamenti di alcuni benefattori ed alle vendite dei suoi primi libri: ha ormai maturato la sua verità ed è pronto per diffonderla.
Profilo di Juddu Krishnamurti
Sempre in occasione del discorso per lo scioglimento dell’Ordine, Krishnamurti dichiara: “Il mio unico scopo è rendere l’uomo assolutamente, incondizionatamente libero”. Per i successivi cinquantasette anni egli viaggia in lungo e in largo per il mondo al fine di trasmettere il suo insegnamento liberatorio, rifiutando sempre l’adulazione e lo status di guru. Crea delle fondazioni che servono ad organizzare le sue conferenze ed a pubblicare i suoi scritti e fonda delle scuole – la formazione scolastica è sempre stata una delle sue maggiori preoccupazioni – in India, in Inghilterra ed in America, dove “sia gli alunni, che gli insegnanti possono fiorire interiormente”.
Muore il 17 febbraio 1986 ad Ojai.
Nel 1938 Krishnamurti incontra Aldous Huxley che diviene suo amico e grande ammiratore. Nel 1956 viene ricevuto dal Dalai Lama. Intorno agli anni ‘60 conosce il maestro yoga B.K.S. Iyengar, dal quale prende lezioni. Nel 1984 parla con gli scienziati del Los Alamos National Laboratory in New Mexico, U.S.A. David Bohm trova nelle parole di Krishnamurti dei punti in comune con le sue nuove teorie fisiche e i due danno vita ad una serie di dialoghi che contribuiscono a costruire un “ponte” tra il cosiddetto misticismo e la scienza.
Krishnamurti parla di come nello specchio dei rapporti, umani e con le cose, ognuno può scoprire il contenuto della propria coscienza che è comune a tutta l’umanità secondo il principio del non-dualismo tipico dell’Advaita Vedanta. Sostiene che questo può essere fatto in modo diretto, scoprendo che la divisione tra osservatore e ciò che è osservato è in realtà dentro noi stessi. Proprio questa divisione dualistica, che impedisce la percezione diretta della realtà, è alla base del conflitto e dell’infelicità dell’uomo.
La sua celebre affermazione “la Verità è una terra senza sentieri” può ben rappresentare il nocciolo del suo insegnamento che vuole spronare l’essere umano a liberarsi da ogni strada già tracciata, dal passato, dai dogmi, dalle ideologie, guardando la realtà senza alcun condizionamento. Dal discorso di scioglimento dell’Ordine della Stella, il 3 agosto 1929, a Ommen, in Olanda:
Ritengo che la Verità sia una terra senza sentieri e che non si possa raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la Verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero. Se lo comprendete, vedrete che è impossibile organizzare una “fede”. La fede è qualcosa di assolutamente individuale, e non possiamo e non dobbiamo istituzionalizzarla. Se lo facciamo diventa una cosa morta, cristallizzata; diventa un credo, una setta, una religione che viene imposta ad altri. Per Krishnamurti la scuola deve essere un posto dove l’insegnante e l’allievo esplorano non solo il mondo esterno della conoscenza ma anche il proprio pensiero e il proprio comportamento per capire il condizionamento che distorce la realtà, perché solo liberi dai condizionamenti si può veramente imparare. Per comprendere è necessaria l’intenzione di non aspettarsi aiuti dall’esterno ma bensi’ di porsi come maestro di se stessi e di scavare per scoprire l’umanità partendo dalla intimità. Alcuni suoi aforismi:
Ciascuno cambi se stesso per cambiare il mondo
Non serve dare risposte, ma spronare gli uomini alla ricerca della verità
La vera rivoluzione per raggiungere la libertà è quella interiore, qualsiasi rivoluzione esterna è una mera restaurazione della solita società che a nulla serve
La rivoluzione interiore va fatta da sé per sé, nessun maestro o guru può insegnarti come.
Juddu Krishnamurti
Bohm sviluppa l’approccio delle onde pilota di Louis de Broglie, giungendo alla cosiddetta interpretazione di Bohm della meccanica quantistica (nota anche come teoria De Broglie-Bohm). Inoltre apporta significativi contributi alla neuropsicologia e allo sviluppo del modello olonomico del funzionamento del cervello, grazie alla collaborazione con il neuroscienziato di Standford Karl Pribram. Secondo il modello olonomico il cervello opera in modo simile a un ologramma, in conformità ai principi della matematica quantistica e alle caratteristiche dei modelli delle onde d’interferenza. Queste onde possano comporre forme come ologrammi, in base ai dati dell’applicazione dell’Analisi di Fourier per decomporre le onde in singoli seni. Bohm con Pribram elabora un teoria basata su una descrizione in termini matematici dei processi e delle interazioni neuronali: i neuroni sarebbero capaci di leggere le informazioni in quanto queste si presentano sotto forma di onde, per poi convertirle in schemi di interferenza e trasformarle in immagini tridimensionali. In sostanza, noi non vedremmo gli oggetti “per come sono” – in accordo con quanto messo in luce dalla teoria della relatività generale – ma solamente la loro informazione quantistica. Nell’universo esiste un ordine implicito (implicate order), che non vediamo e che Bohm paragona ad un ologramma nel quale la sua struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua singola parte; sovrapposto a questo vi è un ordine esplicito (explicate order) che è ciò che realmente vediamo. Quest’ultimo è il risultato dell’interpretazione che il nostro cervello ci offre delle onde (o pattern) di interferenza che compongono l’universo, e secondo tale ipotesi, la localizzazione spazio-temporale degli oggetti è falsa, o comunque illusoria. Poiché Bohm ritiene che l’universo sia un sistema dinamico e quindi in continuo movimento, e siccome con il termine ologramma solitamente ci si riferisce ad una immagine statica, Bohm preferisce descrivere l’universo utilizzando il termine, da lui creato, di Olomovimento. Dopo l’esperimento di Aspect e colleghi del 1982 che rivela una comunicazione istantanea fra fotoni a distanze infinitamente grandi, Bohm, che si era già confrontato con lo stesso problema durante la sua riformulazione del paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, ribadisce come non vi sia alcuna propagazione di segnale a velocità superiori a quella della luce, bensì che si tratti di un fenomeno non riconducibile ad alcuna misurazione spaziotemporale. Il legame tra fotoni nati da una stessa particella sarebbe quindi dovuto all’esistenza di un insieme di variabili nascoste che formano un ordine della realtà che noi normalmente non percepiamo, nel quale ogni cosa (particella) non è da considerarsi come cosa separata o “autonoma”, bensì come facente parte di un ordine atemporale e aspaziale universale, cioè l’Olomovimento. Bohm scrive che “noi dobbiamo imparare ad osservare qualsiasi cosa come parte di una Indivisa Interezza” (“Undivided Wholeness”), cioè che tutto è Uno.
Fonte: tratto dall'ottimo sito http://www.axismundi.biz/?page_id=1287
mercoledì 26 maggio 2010
Jiddu Krishnamurti... frasi...
CONSIGLIATO:
La scelta c’è dove c’è confusione. Per la mente che vede con chiarezza non c’è necessità di scelta, c’è azione. Penso che molti problemi scaturiscano dal dire che siamo liberi di scegliere, che la scelta significa libertà. Al contrario, io direi che la scelta significa una mente confusa, e perciò non libera. (Jiddu Krishnamurti)
La più alta forma di intelligenza umana è la capacità di osservare senza giudicare.
Jiddu Krishnamurti
mercoledì 5 maggio 2010
"Siate semplicemente consapevoli" (Jiddu Krishnamurti)
Da: Sulla mente ed il pensiero (Astrolabio ed.)Bombay, 28 febbraio 1965
Vi prego di prestare ascolto a ciò che sto per dire. Fatelo mentre parlo. Non pensate a farlo, ma fatelo ora. Ecco, siate consapevoli degli alberi, delle palme, del cielo; ecco il corvo che gracchia; guardate la luce sulle foglie, il colore di quel sari, di quel volto, e poi tornate a voi, interiormente. Potete osservare, potete essere consapevoli incondizionatamente delle cose all’esterno, è molto facile. Ma portare l’attenzione a noi stessi ed essere ugualmente consapevoli, senza condannarci, né giustificarci, senza paragonarci a qualcun altro, è molto più difficile. Siate semplicemente consapevoli di ciò che accade dentro di voi, le vostre convinzioni, le paure, i dogmi, le speranze, le frustrazioni, le ambizioni e tutto il resto. Allora lo svelarsi del mondo conscio e inconscio comincia. Non dovete fare nulla.
Siate semplicemente consapevoli; questo è tutto ciò che dovete fare, senza giudizi, senza forzature, senza cercare di cambiare ciò di cui diventate consapevoli. Allora noterete che è come quando sale la marea, non potete impedire a una marea di arrivare; potete costruire un muro, potete fare quello che volete, ma la marea giungerà con la sua energia dirompente. Allo stesso modo, se siete consapevoli in modo incondizionato, l’intero campo della coscienza comincia a schiudersi. E mentre si schiude, dovete seguirlo, e ciò diventa incredibilmente difficile: seguire nel senso di stare con il movimento di ogni pensiero che sorge, di ogni sensazione, di ogni desiderio segreto. Diventa molto difficile nel momento in cui vi opponete, nel momento in cui dite: “Questo è spiacevole”, “questo è bene”, “questo è male”, “tratterrò questo”, “rifiuterò quest’altro”.
Perciò, cominciate con le cose all’esterno e poi muovete dentro di voi. Allora troverete, nell’interiorità, che esterno e interno non sono due cose diverse, che la consapevolezza di ciò che è all’esterno non è differente da quella rivolta all’interno, che entrambe sono la stessa cosa. Allora scoprirete che vivete nel passato; che non c’è mai un momento di vita attuale, presente; solo quando né il passato né il futuro vengono a esistere si è nel momento attuale. Scoprirete che vivete sempre nel passato, nei ricordi: ciò che avete vissuto, ciò che eravate, quanto eravate intelligenti, bravi, cattivi. Questa è la memoria. È per questo che dovete comprendere la memoria, non negarla, sopprimerla, o fuggirla. Se qualcuno ha fatto un voto di celibato, e si ricorda continuamente di quella decisione, quando smette di trattenere quel ricordo, o se ne scorda, si sente in colpa e questo soffoca la sua vita.
Allora voi cominciate a osservare ogni cosa, e per questo motivo diventate molto sensibili. Perciò, nell’ascoltare (cioè nell’osservare non solo il mondo esterno, i gesti esterni, ma anche la mente al suo interno, che vede e che, di conseguenza, sente, prova sensazioni), nell’essere così incondizionatamente consapevoli, allora non si genera alcuno sforzo. E di grande importanza comprenderlo.
Da La sola rivoluzione
|
martedì 4 maggio 2010
CONSAPEVOLEZZA (JIDDU KRISHNAMURTI)
CONSIGLIATO:
Conoscere se stessi significa conoscere la nostra relazione con il mondo, non solo del mondo delle idee e della gente, ma anche con la natura e con le cose che possediamo.
Questa è la nostra vita, essendo la vita relazione con il tutto. La comprensione di questa relazione richiede specializzazione? Ovviamente no! Ciò che richiede è la consapevolezza necessaria per confrontarsi con la vita nel suo insieme come totalità. In che modo dobbiamo essere consapevoli? Questo è il nostro problema. Come si deve fare per avere quell'attenzione, se posso usare questa parola senza che sembri una specializzazione? Come deve fare uno che vuole affrontare la vita nella sua totalità? Ciò non significa solo le relazioni personali con i vicini, ma anche con la natura e con le cose che possiedi, con le idee, con le cose che la mente produce come illusioni, desideri e così via. Come possiamo essere coscienti di questo processo globale di relazioni? Sicuramente è questa la nostra vita, non è vero? Non esiste vita senza relazione; comprendere questa relazione non significa isolamento. Al contrario richiede pieno riconoscimento e totale consapevolezza del globale processo della relazione. Come si fa ad essere consapevoli? Come siamo consapevoli di qualcosa? Come sei consapevole della relazione con una persona? Come sei consapevole degli alberi, del richiamo di un uccello? Come fai ad essere consapevole delle tue reazioni quando leggi un giornale? Siamo coscienti delle risposte superficiali della mente quanto che delle reazioni profonde? Come siamo consapevoli di qualcosa? In primo luogo siamo consapevoli, (non lo siamo forse?) di una reazione ad uno stimolo, e questo è un fatto evidente; vedo qualcosa di bello e c'è una risposta, quindi una sensazione, contatto identificazione e desiderio. Questo e il processo ordinario, non è vero? Possiamo osservare quello che accade nel momento senza studiare dei libri per farlo. Così è attraverso l'identificazione che abbiamo piacere e dolore. La nostra "abilità" consiste in questa preoccupazione di cercare il piacere e di evitare il dolore, non trovate? Se sei interessato a qualcosa, ti da piacere ne nasce subito una "capacità" immediata, c'è la consapevolezza istantanea di quel fatto, e se si tratta di qualcosa di doloroso quella capacità consiste nel sapere com'evitarlo. Così sino a che cerchiamo un'"abilità" per comprendere noi stessi siamo destinati a fallire, perché la comprensione di noi stessi non dipende da questa "capacità". Non si tratta di una tecnica che sviluppi, coltivi e accresci con il tempo, attraverso un costante affinamento. Questa coscienza di sé si può ottenere solo nell'atto della relazione; può essere sentita nel modo in cui in cui parliamo e in cui ci comportiamo.
Guardati senza nessuna identificazione, senza alcun confronto, senza alcuna condanna, guarda soltanto e noterai che accade una cosa straordinaria. Non solo poni fine ad un'attività inconscia - la maggior parte delle nostre attività sono inconsce - non solo metti fine a ciò, ma sei anche consapevole delle motivazioni della tua azione, senza indagare e senza scavare. Quando sei consapevole vedi il processo globale del pensiero e dell'azione, ma ciò può accadere solo quando non ci sono condanne. Quando condanno qualcosa non lo comprendo, è un modo per evitare qualunque tipo di comprensione. Molti di noi lo fanno di proposito, condanniamo immediatamente, e così pensano di aver capito.
Se invece, non condanniamo, ma osserviamo con cura, e siamo consapevoli, il contenuto ed il significato di quell'azione si dischiude. Provatelo personalmente e vedrete dai voi stessi. Semplicemente sii consapevole, senza nessun senso di giustificazione, potrebbe apparire piuttosto negativo, ma non è negativo. Al contrario ha quella qualità della passività che è azione diretta, scoprirete questo, se provate a sperimentare. Dopo tutto se vuoi comprendere qualcosa devi avere un atteggiamento passivo. Non puoi mantenere il pensiero fisso su di un problema speculando e analizzando. Devi essere abbastanza sensibile da percepirne il contenuto. Come una pellicola fotografica. Se voglio comprenderti devo essere di una passività consapevole e allora incominci a raccontarmi tutte le tue storie. Non si tratta certo di una questione d'abilità o di specializzazione. In questo processo iniziamo a comprendere noi stessi, non solo gli strati superficiali della consapevolezza, ma i più profondi, che sono molto più importanti, perché là giacciono tutti i motivi che ci guidano e le intenzioni, le nostre domande nascoste e confuse, le ansie, le paure e gli appetiti. Esteriormente possiamo tenerli tutti sotto controllo, ma interiormente, si agitano. Sino che questo non è stato completamente compreso attraverso la consapevolezza diretta, ovviamente non potrà esserci libertà, non ci potrà essere felicità e non ci sarà intelligenza. Essendo l'intelligenza la totale consapevolezza del nostro processo può essere un fatto di specializzazione? Potrà tale intelligenza essere coltivata attraverso qualche forma di specializzazione? Perché è proprio questo che sta accadendo, no? Il prete, il dottore, l'ingegnere, l'industriale, l'uomo d'affari, il professore abbiamo la mentalità di quella specializzazione.
Per realizzare la più alta forma d'intelligenza che è la Verità, che è Dio e che non può essere descritta crediamo di dover diventare degli specialisti. Studiare, crescere, cercare e con la mentalità dello specialista ed inseguendo lo specialista; studiamo noi stessi per sviluppare una capacità che ci possa aiutare a svelare i nostri conflitti e le nostre miserie.
Il nostro problema è: siamo consapevoli che i conflitti, le miserie ed i dolori della nostra esistenza quotidiana non possono essere risolti da qualcun altro, e se non possono esserlo, come possiamo affrontarli? Comprendere un problema ovviamente richiede una certa intelligenza, e quest'intelligenza non può derivare dal coltivare la specializzazione del pensiero. Si manifesta solo quando siamo passivamente consapevoli di tutto il processo della nostra coscienza, che significa essere consapevoli di noi stessi senza scelta, senza scegliere quanto è giusto e quanto è sbagliato. Quando si è passivamente consapevoli si riconosce che da quella passività, che non è pigrizia, che non è sonno, ma estremo stato di allerta, il problema ha un significato assai differente, cioè non esiste più identificazione con il problema, quindi non c'è più giudizio e allora il problema inizia a rivelare il suo contenuto. Se sai costantemente mantenere questo stato, allora ogni problema può essere risolto dalle fondamenta, non superficialmente. La difficoltà è che la maggior parte di noi non è in grado di essere passivamente consapevole, lasciando che il problema riveli la sua storia senza che siamo noi ad interpretarlo. Non sappiamo come guardare un problema spassionatamente. Non ne siamo capaci, sfortunatamente, perché vogliamo sempre una soluzione del problema, vogliamo una risposta, ne cerchiamo la fine; oppure cerchiamo di tradurre il problema secondo i nostri principi di piacere e dolore, o abbiamo già una risposta pronta su come affrontare il problema. Quindi affrontiamo un problema che è sempre nuovo con i vecchi schemi. La sfida è sempre il nuovo, la nostra risposta è sempre vecchia, e la nostra difficoltà è quella di confrontarci in modo adeguato con tutto ciò, pienamente. Il problema è sempre un problema della relazione, con le cose con la gente, o con le idee; non c'è altro e per confrontarci con il problema delle relazioni, con le sue sempre diverse domande, per affrontarlo nel modo giusto e adeguatamente, si deve avere una consapevolezza passiva. Questa passività non è il prodotto della determinazione, della volontà o della disciplina; inizia quando vediamo e riconosciamo che, nello stato iniziale, non siamo passivi. Essere consapevoli che ci aspettiamo una particolare risposta a un particolare problema, è sicuramente l'inizio: consiste nel conoscere noi stessi in relazione al problema e a come ci confrontiamo con esso. Allora appena iniziamo a conoscere noi stessi in relazione al problema, e al modo in cui reagiamo secondo pregiudizi, aspettative e scopi, nel confronto con questo la consapevolezza rivelerà il processo del nostro pensiero, della nostra natura interiore e in ciò c'è liberazione. Ciò che è certamente importante è la consapevolezza senza scelte, perché la scelta porta con sé il conflitto. Colui che sceglie è nella confusione, quindi sceglie, se non c'è confusione non c'è scelta. Solo la persona confusa sceglie quello che dovrebbe o non don dovrebbe fare. Nessun che sia nella chiarezza e nella semplicità sceglie: è ciò che è. L'azione basata su un'idea è ovviamente l'azione della scelta e tale azione non è liberatoria, al contrario, crea solo ulteriore resistenza e ulteriore conflitto, in relazione a quel pensiero condizionato. La cosa importante quindi, è l'essere consapevoli, momento per momento, senza accumulare l'esperienza che la consapevolezza offre, perché nel momento che si inizia ad accumulare, si è consapevoli solo in rapporto a quanto si ha accumulato, in accordo con quello schema e con quella esperienza. La tua consapevolezza,è l'accumulo dei condizionamenti e quindi non c'è più osservazione, ma mera traduzione. Dove c'è traduzione c'è scelta, e la scelta crea conflitto, e nel conflitto non c'è comprensione. La vita è un fatto di relazione, e per comprendere la relazione, che non è statica, ci vuole una consapevolezza flessibile, una consapevolezza allerta e passiva, non aggressivamente attiva. Come ho detto questa coscienza passiva non è prodotta da qualche forma di disciplina, o attraverso delle pratiche. E' semplicemente essere consapevoli, momento per momento, del nostro pensare e del nostro sentire, non solo quando siamo svegli perché come vedremo quando ci entreremo più profondamente, anche iniziando a sognare tireremo a galla tutti i tipi di simboli che tradurremo in sogni. In questo modo apriamo la porta a ciò che è nascosto e che diventa conosciuto, ma per trovare l'ignoto dobbiamo andare oltre la soglia, certamente è questa la nostra difficoltà. La Realtà non è una cosa che possa essere conosciuta dalla mente, perché la mente è il risultato del conosciuto, del passato e quindi la mente deve riconoscere se stessa ed il proprio funzionamento, la sua verità e solo allora è possibile all'ignoto essere
Questa è la nostra vita, essendo la vita relazione con il tutto. La comprensione di questa relazione richiede specializzazione? Ovviamente no! Ciò che richiede è la consapevolezza necessaria per confrontarsi con la vita nel suo insieme come totalità. In che modo dobbiamo essere consapevoli? Questo è il nostro problema. Come si deve fare per avere quell'attenzione, se posso usare questa parola senza che sembri una specializzazione? Come deve fare uno che vuole affrontare la vita nella sua totalità? Ciò non significa solo le relazioni personali con i vicini, ma anche con la natura e con le cose che possiedi, con le idee, con le cose che la mente produce come illusioni, desideri e così via. Come possiamo essere coscienti di questo processo globale di relazioni? Sicuramente è questa la nostra vita, non è vero? Non esiste vita senza relazione; comprendere questa relazione non significa isolamento. Al contrario richiede pieno riconoscimento e totale consapevolezza del globale processo della relazione. Come si fa ad essere consapevoli? Come siamo consapevoli di qualcosa? Come sei consapevole della relazione con una persona? Come sei consapevole degli alberi, del richiamo di un uccello? Come fai ad essere consapevole delle tue reazioni quando leggi un giornale? Siamo coscienti delle risposte superficiali della mente quanto che delle reazioni profonde? Come siamo consapevoli di qualcosa? In primo luogo siamo consapevoli, (non lo siamo forse?) di una reazione ad uno stimolo, e questo è un fatto evidente; vedo qualcosa di bello e c'è una risposta, quindi una sensazione, contatto identificazione e desiderio. Questo e il processo ordinario, non è vero? Possiamo osservare quello che accade nel momento senza studiare dei libri per farlo. Così è attraverso l'identificazione che abbiamo piacere e dolore. La nostra "abilità" consiste in questa preoccupazione di cercare il piacere e di evitare il dolore, non trovate? Se sei interessato a qualcosa, ti da piacere ne nasce subito una "capacità" immediata, c'è la consapevolezza istantanea di quel fatto, e se si tratta di qualcosa di doloroso quella capacità consiste nel sapere com'evitarlo. Così sino a che cerchiamo un'"abilità" per comprendere noi stessi siamo destinati a fallire, perché la comprensione di noi stessi non dipende da questa "capacità". Non si tratta di una tecnica che sviluppi, coltivi e accresci con il tempo, attraverso un costante affinamento. Questa coscienza di sé si può ottenere solo nell'atto della relazione; può essere sentita nel modo in cui in cui parliamo e in cui ci comportiamo.
Guardati senza nessuna identificazione, senza alcun confronto, senza alcuna condanna, guarda soltanto e noterai che accade una cosa straordinaria. Non solo poni fine ad un'attività inconscia - la maggior parte delle nostre attività sono inconsce - non solo metti fine a ciò, ma sei anche consapevole delle motivazioni della tua azione, senza indagare e senza scavare. Quando sei consapevole vedi il processo globale del pensiero e dell'azione, ma ciò può accadere solo quando non ci sono condanne. Quando condanno qualcosa non lo comprendo, è un modo per evitare qualunque tipo di comprensione. Molti di noi lo fanno di proposito, condanniamo immediatamente, e così pensano di aver capito.
Se invece, non condanniamo, ma osserviamo con cura, e siamo consapevoli, il contenuto ed il significato di quell'azione si dischiude. Provatelo personalmente e vedrete dai voi stessi. Semplicemente sii consapevole, senza nessun senso di giustificazione, potrebbe apparire piuttosto negativo, ma non è negativo. Al contrario ha quella qualità della passività che è azione diretta, scoprirete questo, se provate a sperimentare. Dopo tutto se vuoi comprendere qualcosa devi avere un atteggiamento passivo. Non puoi mantenere il pensiero fisso su di un problema speculando e analizzando. Devi essere abbastanza sensibile da percepirne il contenuto. Come una pellicola fotografica. Se voglio comprenderti devo essere di una passività consapevole e allora incominci a raccontarmi tutte le tue storie. Non si tratta certo di una questione d'abilità o di specializzazione. In questo processo iniziamo a comprendere noi stessi, non solo gli strati superficiali della consapevolezza, ma i più profondi, che sono molto più importanti, perché là giacciono tutti i motivi che ci guidano e le intenzioni, le nostre domande nascoste e confuse, le ansie, le paure e gli appetiti. Esteriormente possiamo tenerli tutti sotto controllo, ma interiormente, si agitano. Sino che questo non è stato completamente compreso attraverso la consapevolezza diretta, ovviamente non potrà esserci libertà, non ci potrà essere felicità e non ci sarà intelligenza. Essendo l'intelligenza la totale consapevolezza del nostro processo può essere un fatto di specializzazione? Potrà tale intelligenza essere coltivata attraverso qualche forma di specializzazione? Perché è proprio questo che sta accadendo, no? Il prete, il dottore, l'ingegnere, l'industriale, l'uomo d'affari, il professore abbiamo la mentalità di quella specializzazione.
Per realizzare la più alta forma d'intelligenza che è la Verità, che è Dio e che non può essere descritta crediamo di dover diventare degli specialisti. Studiare, crescere, cercare e con la mentalità dello specialista ed inseguendo lo specialista; studiamo noi stessi per sviluppare una capacità che ci possa aiutare a svelare i nostri conflitti e le nostre miserie.
Il nostro problema è: siamo consapevoli che i conflitti, le miserie ed i dolori della nostra esistenza quotidiana non possono essere risolti da qualcun altro, e se non possono esserlo, come possiamo affrontarli? Comprendere un problema ovviamente richiede una certa intelligenza, e quest'intelligenza non può derivare dal coltivare la specializzazione del pensiero. Si manifesta solo quando siamo passivamente consapevoli di tutto il processo della nostra coscienza, che significa essere consapevoli di noi stessi senza scelta, senza scegliere quanto è giusto e quanto è sbagliato. Quando si è passivamente consapevoli si riconosce che da quella passività, che non è pigrizia, che non è sonno, ma estremo stato di allerta, il problema ha un significato assai differente, cioè non esiste più identificazione con il problema, quindi non c'è più giudizio e allora il problema inizia a rivelare il suo contenuto. Se sai costantemente mantenere questo stato, allora ogni problema può essere risolto dalle fondamenta, non superficialmente. La difficoltà è che la maggior parte di noi non è in grado di essere passivamente consapevole, lasciando che il problema riveli la sua storia senza che siamo noi ad interpretarlo. Non sappiamo come guardare un problema spassionatamente. Non ne siamo capaci, sfortunatamente, perché vogliamo sempre una soluzione del problema, vogliamo una risposta, ne cerchiamo la fine; oppure cerchiamo di tradurre il problema secondo i nostri principi di piacere e dolore, o abbiamo già una risposta pronta su come affrontare il problema. Quindi affrontiamo un problema che è sempre nuovo con i vecchi schemi. La sfida è sempre il nuovo, la nostra risposta è sempre vecchia, e la nostra difficoltà è quella di confrontarci in modo adeguato con tutto ciò, pienamente. Il problema è sempre un problema della relazione, con le cose con la gente, o con le idee; non c'è altro e per confrontarci con il problema delle relazioni, con le sue sempre diverse domande, per affrontarlo nel modo giusto e adeguatamente, si deve avere una consapevolezza passiva. Questa passività non è il prodotto della determinazione, della volontà o della disciplina; inizia quando vediamo e riconosciamo che, nello stato iniziale, non siamo passivi. Essere consapevoli che ci aspettiamo una particolare risposta a un particolare problema, è sicuramente l'inizio: consiste nel conoscere noi stessi in relazione al problema e a come ci confrontiamo con esso. Allora appena iniziamo a conoscere noi stessi in relazione al problema, e al modo in cui reagiamo secondo pregiudizi, aspettative e scopi, nel confronto con questo la consapevolezza rivelerà il processo del nostro pensiero, della nostra natura interiore e in ciò c'è liberazione. Ciò che è certamente importante è la consapevolezza senza scelte, perché la scelta porta con sé il conflitto. Colui che sceglie è nella confusione, quindi sceglie, se non c'è confusione non c'è scelta. Solo la persona confusa sceglie quello che dovrebbe o non don dovrebbe fare. Nessun che sia nella chiarezza e nella semplicità sceglie: è ciò che è. L'azione basata su un'idea è ovviamente l'azione della scelta e tale azione non è liberatoria, al contrario, crea solo ulteriore resistenza e ulteriore conflitto, in relazione a quel pensiero condizionato. La cosa importante quindi, è l'essere consapevoli, momento per momento, senza accumulare l'esperienza che la consapevolezza offre, perché nel momento che si inizia ad accumulare, si è consapevoli solo in rapporto a quanto si ha accumulato, in accordo con quello schema e con quella esperienza. La tua consapevolezza,è l'accumulo dei condizionamenti e quindi non c'è più osservazione, ma mera traduzione. Dove c'è traduzione c'è scelta, e la scelta crea conflitto, e nel conflitto non c'è comprensione. La vita è un fatto di relazione, e per comprendere la relazione, che non è statica, ci vuole una consapevolezza flessibile, una consapevolezza allerta e passiva, non aggressivamente attiva. Come ho detto questa coscienza passiva non è prodotta da qualche forma di disciplina, o attraverso delle pratiche. E' semplicemente essere consapevoli, momento per momento, del nostro pensare e del nostro sentire, non solo quando siamo svegli perché come vedremo quando ci entreremo più profondamente, anche iniziando a sognare tireremo a galla tutti i tipi di simboli che tradurremo in sogni. In questo modo apriamo la porta a ciò che è nascosto e che diventa conosciuto, ma per trovare l'ignoto dobbiamo andare oltre la soglia, certamente è questa la nostra difficoltà. La Realtà non è una cosa che possa essere conosciuta dalla mente, perché la mente è il risultato del conosciuto, del passato e quindi la mente deve riconoscere se stessa ed il proprio funzionamento, la sua verità e solo allora è possibile all'ignoto essere
CONSIGLIATO:
sabato 3 aprile 2010
Iscriviti a:
Post (Atom)